Ci sa fare anche in studio di registrazione, per un disco di musica popolare al di qua e al di là del confine (feat. Enzino Iacchetti e i Vad Vuc)
Il responsabile del progetto è Mike Birra, che frequentando lo studio del produttore Filadelfo Castro è entrato nel lato umano degli artisti, in barba a quell’idea che non sia mai il caso di conoscere i propri idoli troppo da vicino. Dopo Enrico Ruggeri, Ermal Meta, Pierdavide Carone (“Esperienza molto bella, abbiamo parlato a lungo di Lucio Dalla”) e molti altri, un giorno da Mike è passato anche Flavio Sala. «È stata un’intervista molto intima, che scavava nel passato. Il comico soffre sempre dentro, e io ho fatto delle scuole per soffrire», fa presente l’intervistato.
«L’idea di produrre un album di canzoni è di Mike», dice Sala, «da lui nasce quest’avventura che non sapevo dove mi avrebbe portato, nemmeno sapevo se sarei stato in grado di cantare, reduce com’ero da un album inciso un po’ per gioco», quello uscito dallo spettacolo ‘Bonanocc ai sonadoo’, dove Flavio era il leader di una band di liscio «un po’ sfigata». E invece ‘Sdoganation’, presentato ieri a Bellinzona tra i tavoli del Ristorante Giardino, è un disco vero, arrangiato, prodotto e curato da Filadelfo Castro, distribuito dall’etichetta Beatfactory. Tra gli ospiti illustri, Enzino Iacchetti che col Sala duetta in ‘E la vita, la vita’ di Jannacci-Pozzetto e i Vad Vuc in una riedizione di ‘Jingle Bells’ reintitolata ‘Jingle Balls’, dissacrazione in salsa country con testo riscritto a tre mani (Cerno, Sala e Mike, fan dei Vad Vuc). Per l’estate è atteso il feat. più importante, un nome del quale ancora non si può sapere nulla (“feat.” da featuring, la collaborazione, che si pronuncia “fit”. Sala: «Quando mi hanno detto “feat” pensavo che parlassero di fitness»).
‘Sdoganation’ non è un riferimento a Celentano. «In tanti ci hanno pensato. Siccome detesto gli inglesismi – continua Flavio – ho l’abitudine di sfotterli. Nel titolo c’è questo mio eterno avere a che fare con il confine: il liceo che ho frequentato in Italia, il fatto che abbia abitato a Chiasso, gli studi all’accademia di Brera, il Bussenghi che mi ha costretto a fingermi italiano. ‘Sdoganation’ mi pareva la giusta quadra di tutta la faccenda». E dunque ecco l’omaggio al patrimonio musicale popolare, ticinese e italiano, da un lato all’altro della dogana. «Non avrei mai voluto chiamarlo ‘Frontaliers’ perché non per forza ti devi sempre rifare al tuo personaggio più famoso. Il Bussenghi non lo rinnego, sia chiaro, fosse per me starei ancora a registrare puntate, e l’anno prossimo torniamo al cinema prima che le parti del corpo ci cadano a pezzi. Il corpo del Bernasconi naturalmente, mica il mio». Il composto Flavio Sala show continua anche per la copertina: «L’ha realizzata un mio compagno di Brera, diventato poi barista e infine, da autodidatta, fumettista a Firenze. Ora vive e lavora a La Spezia. È Alessio Ravazzani detto Turbigo. Turbigo è un paese vicino a Malpensa dal nome talmente assurdo che gliel’abbiamo aggiunto».
Tra una ‘Madonnina dai riccioli d’oro’ e una ‘Canzone dell’aviatore’, il Sala si cimenta in ‘Ci vuole orecchio’ («Pensavo di lasciarci una tonsilla, poi dopo l’estate l’abbiamo riascoltata e abbiamo capito che era buona la prima») e in ‘Yanez’ di Davide Van De Sfroos, il feat. mancato («Gliel’abbiamo chiesto durante la settimana del suo concerto al Forum di Assago, pessimo tempismo»).
Con Cerno
Lo si è scritto. In ‘Sdoganation’, dietro il banco c’è Filadelfo Castro, legato produttivamente a tanta musica italiana, intesa come artisti, colonne sonore, spot. «Di mestiere faccio il lavoro sporco, il produttore e l’arrangiatore. La mia vocazione è la musica pop e anche quando ho a che fare con prodotti di classe lavoro perché quello che produco possa essere ascoltato dal maggior numero di persone. Di solito il produttore è il controbilanciamento dell’artista, ma Flavio è umile, ha talento, ha qualcosa da dire. Ho trovato interessante riprendere la tradizione, anche quella milanese e nobile di Gaber e Jannacci, traghettatori delle canzoni verso la poesia, per creare nuovi piccoli gioielli senza alcun timore reverenziale».
Di ‘Sdoganation’ arriverà il vinile; il ricavato dalla vendita delle casse bluetooth personalizzate create per l’occasione andrà invece in favore di Pastello Bianco, l’associazione di Mike Birra, che si occupa di dare la possibilità a chiunque di registrare musica. Una collaborazione con l’Osc di Mendrisio ha già portato a una canzone scritta dai pazienti della struttura, diventata la sigla del festival socio-culturale di Casvegno (info: www.compagniaflavio.ch).
Al termine dell’incontro di presentazione, un breve video riassume le session di registrazione. Negli studi di Casto, lo smartphone inquadra il Sala davanti al microfono con espressione finto-dubbiosa, ma gli occhi sono quelli di chi sa quel che sta facendo. E davanti al nostro, di microfono, commenta: «Sono contento e anche un po’ sorpreso. Non sai mai come la tua voce possa suonare in uno studio di registrazione». È il ‘disagio giovanile’ dell’ascoltarsi per la prima volta dentro un registratore? «Sì, ed è quel fastidio del riascoltarmi che mi ha portato tante volte a fare l’imitatore o a cambiare voce. Quando ascolto e vedo il Bussenghi, per il quale ho anche camuffato la mia faccia, sento meno fastidio perché mi pare di vedere un’altra persona, e la scissione si compie per intero. Già con le commedie dialettali questa cosa è cambiata: sono io con la mia faccia e la mia voce, e il dialetto mi aiuta molto. È uno step in più, senza imitazioni o cose strane. Mi ha sorpreso, come dicevo, anche se ho avuto bisogno, come per tutte le cose, del confronto con gli altri per capire che effetto farà, e se piacerà alla gente».
La situazione di palco di Maruska e i suoi Micioni potrebbe riproporsi, in chiave meno comica di quanto fossero i Micioni. Flavio Sala è pronto? «Fosse per me, ne avessimo avuto il tempo, avrei messo su davvero la band di liscio di Maruska, ma il Mago (quello dei Vad Vuc, Fabio Martino, ndr), che ha sonorizzato lo spettacolo, vista la fatica che abbiamo fatto, ci avrebbe mandati a quel paese». Soddisfatto degli arrangiamenti di Castro, il Sala svela infine un piccolo segreto di studio: «Io tendo ad avere il vibrato su determinate parti di testo, soprattutto in canzoni come ‘I campan da San Lurenz’, e Filadelfo ha ‘modernizzato’ il mio canto, chiedendomi le note ‘dritte’. Ci avevo messo così tanto tempo per imparare il vibrato e adesso devo disimpararlo, pensa un po’».
Da sinistra: Filadelfo Castro, Flavio Sala e Mike Birra