Settimane Musicali

Il cavallo di battaglia di Renaud Capuçon

A Locarno, venerdì 27 settembre, il violinista francese si esibirà nel Concerto n.1 di Bruchs, alla testa dell’Orchestre de Chambre de Lausanne

Renaud Capuçon
(Keystone)
25 settembre 2024
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Il timbro rotondo e morbido che sprigiona dal suo Guarneri del Gesù ‘Panette’ (violino storico appartenuto per quasi mezzo secolo al leggendario collega Isaac Stern) è da tempo una delle doti più apprezzate del virtuoso francese Renaud Capuçon. Suono che per sua stessa ammissione “non vuole mai essere metallico o aggressivo, ma caldo” come ha raccontato più volte, “qualità che a mio avviso rappresenta ciò per cui si ascolta davvero un musicista o magari si decide di cambiare programma alla radio, qualunque sia il suo strumento”.

Attesissimo venerdì 27 settembre alle 19.30 come violinista/direttore alla Chiesa San Francesco di Locarno in uno dei suoi cavalli di battaglia (il Concerto in sol di Max Bruch accompagnato dall’Orchestre de Chambre de Lausanne), Capuçon ha iniziato a suonare a quattro anni, pur essendo nato in una famiglia di non-musicisti nella Savoia francese, a Chambéry. “Un’amica di mia madre le consigliò di farmi studiare il violino, perché avevo l’orecchio assoluto”, ha raccontato in più occasioni. “Mi piacevano le mie lezioni private e suonare con gli altri mi entusiasmava, fin quando ho finito per far diventare tutto questo la mia professione“. Fra le sue figure di riferimento c’è stato senza dubbio lo stesso Stern. “L’ho incontrato nel ’95, quando avevo 19 anni. Mi fece un’immensa impressione suonare davanti a lui, che era tra i miei mentori e di cui conoscevo a memoria tutte le registrazioni: con me fu molto duro, esigente, poi alla fine del corso gli chiesi una lettera di referenza per la richiesta di un violino che non ho mai utilizzato, anche se paradossalmente, dopo la sua morte riuscii ad avere proprio il suo strumento personale”.

Nella folta galleria di violinisti di mezza età (per l’esattezza ha 48 anni) Capuçon è dunque apprezzato per il temperamento, l’espressività e il rigore che sprigiona ogni volta. Doti che lui stesso fa derivare da una certa formazione decisamente aperta, cosmopolita, un fatto che trascende qualsiasi asfittica limitazione di perimetro nazionale. “Oggi come oggi viviamo in un mondo globalizzato e non avrebbe senso, neppure nel mio caso, parlare di scuola francese”, è il suo mantra. “L’insegnante da cui ho appreso le basi era americana, ma poi mi sono perfezionato anche con Poulet e Thomas Brandis, per questo mi sento un mix di tante scuole violinistiche nazionali, anche se con una forte propensione alla tradizione dell’Europa centrale”. Peraltro, due fra le esperienze che hanno contribuito ad arricchire il patrimonio musicale sono state la militanza nella Gustav Mahler Jugendorchester sotto la direzione di Claudio Abbado e le numerosissime esibizioni al fianco del fratello violoncellista, Gautier. “A parte il vivere perennemente con la valigia in mano, questo è un mondo fatto di sacrifici, non di glamour”, aggiunge. “A ogni concerto devi sempre dare il massimo e continuare a studiare: evitando gli imprevisti e semmai imparare la lezione proprio da questi. Detto questo, la musica resta la parte più essenziale della mia vita e non potrei immaginare l’esistenza senza di essa”.

Venerdì, gli toccherà eseguire un brano cruciale del repertorio violinistico. “Spesso si legge sui dizionari di musica che Bruch viene dopo Brahms: non è simpatico perché Bruch è un signor compositore, di certo poco conosciuto a parte questo Concerto n.1 che è in assoluto la sua hit”, racconta. “Io ho sempre amato suonarlo. È un pezzo che ha i migliori bei movimenti lenti, strutturato in maniera esemplare, abbastanza corto, ma efficace: piace immediatamente a tutti e sa mettere in giusto valore il ruolo del violinista. Come dire, è il concerto romantico per violino per eccellenza e non a caso durante tutto il Ventesimo secolo, spesso veniva abbinato al Concerto di Mendelssohn”. Ma non è tutto, perché il programma gli permette pure di esibirsi come direttore. Al timone degli orchestrali di Losanna, impugna la bacchetta per interpretare il Beethoven titanico dell’ouverture dell’Egmont e la Terza Sinfonia ‘Scozzese’ di Mendelssohn, esemplare taccuino sonoro composto a ricordo di un viaggio del compositore di Amburgo, fra le brume inglesi del Nord. Gioiello del sinfonismo romantico tedesco, gradevolissimo da ripassare all’ascolto.

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