Nei cinema il film con Scarlett Johansson e Channing Tatum su come NON hanno falsificato le missioni Apollo
Iniziamo col mettere le mani avanti: anche gli impallinati di esplorazione spaziale, quelli per intenderci che per tirarsi su di morale vanno su YouTube a riguardarsi il pugno sferrato da Buzz Aldrin a un lunacomplottista, possono andare a vedere ‘Fly me to the moon’ di Greg Berlanti. Anzi la visione di questo film, da poco arrivato nelle sale, è particolarmente raccomandata proprio a loro – oltre che a chi ha voglia di trascorrere due piacevoli ore guardando una commedia intelligente come ogni tanto a Hollywood riescono ancora a fare.
Non che sia un capolavoro, ‘Fly me to the moon’: Berlanti ha iniziato come produttore e sceneggiatore di ‘Dawson's Creek’ e ogni tanto quell’inclinazione per il sentimentalismo pseudoadolescenziale prende il sopravvento, ma nel complesso il film funziona molto bene. Merito soprattutto dei due protagonisti: la fantastica Scarlett Johansson, capace di dare spessore a un personaggio che in altre mani finirebbe con l’essere caricaturale, e Channing Tatum che nonostante sia Channing Tatum riesce a starle dietro e a risultare un credibile direttore delle operazioni della Nasa.
Il film ruota intorno a questa strana coppia. Lui è Cole Davis, il responsabile operativo del programma Apollo che – siamo nei primi mesi del 1969 – presto porterà Armstrong e il già citato Aldrin sulla superficie lunare, mantenendo la promessa di Kennedy di conquistare la Luna entro la fine del decennio. Lei è Kelly Jones, esperta di marketing e comunicazione assunta dalla Nasa per riuscire a vendere le missioni Apollo all’opinione pubblica americana e alla politica. All’inizio i due, ovviamente, non possono che odiarsi; altrettanto ovviamente alla fine non potranno che amarsi. In mezzo c’è Moe Berkus, un misterioso uomo del governo – interpretato da un gigionesco Woody Harrelson in abito scuro – che, preoccupato per un possibile fallimento, affida a Kelly un secondo progetto: allestire il set per un falso allunaggio, così da avere una diretta tv perfetta in caso di problemi.
Così tra le foto dei tre astronauti dell’Apollo 11 piazzate sulle confezioni dei cereali per la prima colazione e un senatore contrario a finanziare la Nasa da convincere, Kelly assume il regista Lance Vespertine (un Jim Rash bravo, ma al quale purtroppo nessuno ha detto di non esagerare) per dirigere una finta discesa di Neil Armstrong dalla scaletta del modulo lunare. Che è effettivamente una delle tante fantasie di complotto che girano intorno alle missioni lunari: sì, ci siamo davvero andati sulla Luna ma le immagini viste in diretta tv da mezzo miliardo di persone non erano quelle vere – il che tutto sommato la rende la meno insostenibile delle fantasie di complotto su questo tema.
Proprio questo ammiccare al lunacomplottismo – peraltro più evidente nel trailer che nel film completo – ha fatto alzare qualche sopracciglio negli appassionati di spazio soprattutto pensando al precedente di ‘Capricorn One’ di Peter Hyams, film che negli anni Settanta aveva dato una certa popolarità alle fantasie di complotto sulle missioni Apollo. Ma ‘Fly me to the moon’ in realtà si prende gioco di queste ipotesi strampalate e anzi ribadisce, senza eccessivi moralismi, la superiorità della verità sulle bugie non tanto, o non solo, per questioni morali, ma perché banalmente alla lunga le bugie vengono scoperte (magari grazie a un gatto nero considerato segno di sventura, ma non diciamo altro sul finale del film).
Coerentemente con questa idea, il film racconta molte cose vere. Certo, Kelly Jones e Cole Davis sono due personaggi di fantasia e ‘Fly me to the moon’, al contrario ad esempio di ‘Apollo 13’ di Ron Howard, non ha la pretesa di una fedeltà quasi documentaristica; tuttavia l’attenzione ai dettagli è notevole e tutto quello che non è finzione è riprodotto in maniera assolutamente realistica. Alla fine ‘Fly me to the moon’ è più onesto dell’acclamato ‘First Man’ di Damien Chazelle per come racconta aspetti che il film biografico con Ryan Gosling minimizza, come i favori ai politici per ottenere finanziamenti e le perplessità dell’opinione pubblica sull’importanza del programma Apollo in un momento in cui le ingiustizie sociali e la guerra in Vietnam apparivano a tutti più urgenti del piantare una bandiera americana sulla Luna.