Il coreografo Davide Bombana presenta il suo ‘Sogno di una notte di mezza estate’, il 12 luglio in anteprima nell’Arena del Teatro Sociale di Como
Negli ultimi anni le coreografie per quell’evento notissimo che è il concerto di capodanno da Vienna sono state affidate per ben quattro volte, la quarta nel 2023, al pluripremiato coreografo italiano Davide Bombana. Già primo ballerino nel 1977 con il corpo di Ballo del Teatro alla Scala, prosegue la sua carriera prima come danzatore poi come coreografo in importanti compagnie tra cui il London Festival Ballet e il Bayerische Staatsballett di Monaco. Come coreografo ospite crea nuovi lavori per l’ Opera di Parigi, National Ballet of Canada, Grand Ballet de Genéve, New York Coreographic Institute, solo per citarne alcuni. È sua la coreografia del videoclip ‘Ad ogni costo’ di Vasco Rossi con Eleonora Abbagnato ed è stato premiato in Italia e all’estero per il suo ‘Romeo e Giulietta’. Già direttore di Maggio Danza a Firenze e del corpo di ballo del Teatro Massimo di Palermo, torna oggi a occuparsi di Shakespeare con ‘Sogno di una notte di mezza estate’, nuova produzione di COB Compagnia Opus Ballet diretta da Rosanna Brocanello in collaborazione con l’Estate Teatrale Veronese, che lo propone in prima nazionale l'1 e il 2 agosto. Sarà possibile assistere allo spettacolo in anteprima il 12 luglio all’Arena estiva del Teatro Sociale di Como, nell’ambito del Festival Como Città della Musica. Incontro Davide Bombana nella sua casa sulle colline di Firenze.
Tu avevi già affrontato Shakespeare con ‘Romeo e Giulietta’, che – guarda un po’ – è stato scritto in contemporanea con il ‘Sogno’, tanto che i critici hanno notato dei travasi linguistici. C’è qualcosa di ‘Romeo e Giulietta’ che ritrovi nel ‘Sogno’?
In effetti sì. In entrambi è l’amore che trionfa, anche se in ‘Romeo e Giulietta’ in maniera tragica e nel ‘Sogno’ in senso gioioso, per cui Puck rappresenta tutto quello che l’amore comporta: le incomprensioni, il non riconoscere l’altro come amato, però alla fine l’ordine prevale per cui l’amore ancora una volta vince e vince in maniera gioiosa e ci tenevo a fare il ‘Sogno’ proprio perché è un pezzo di Shakespeare gioioso.
C’è chi vede il Sogno come una fiaba piena di incanto e magia, con fate ed elfi che si aggirano nel bosco, quasi un racconto per l’infanzia. Poi è arrivato Peter Brook e ha sconvolto la nostra visione idilliaca con la sua scena nuda, gli elementi circensi, il trapezio etc. È arrivato anche il critico Ian Kott che ci ha mostrato il lato oscuro del Sogno, presentandocelo come luogo di illeciti desideri, di erotismo disinibito, che rasenta la bestialità. Tu come lo vedi il Sogno?
Nell’intreccio è talmente geniale, talmente pieno di ritmo e di energia, che secondo me se la regia, come nel caso di Peter Brook, è geniale lei stessa, non c’è veramente bisogno di molti orpelli. Abbiamo la scenografia, i video, i costumi, però quando lo provo in sala con i ragazzi, che si sono veramente immersi nei personaggi, noto che la trama riesce a tenere una tensione anche se la scena è disadorna. Ho visto le più importanti produzioni ballettistiche: Balanchine, Ashton e Neumeier. E avevo voglia di fare uno Shakespeare gioioso. Come dici tu, gioioso fino a un certo punto. Viene fuori anche la sessualità più nascosta, più truce, però alla fine anche quello può essere un risvolto dell’amore, alla fine anche quella non è la cosa che veramente prevale: è considerato uno scherzo di Puck su ordine di Oberon che si vuole vendicare di Titania. In realtà tocca l’archetipo della vergine e del toro, che c’è in Picasso, c’è in Carmen. Ma in questo caso tutti ridono di lei – mi riferisco a Titania con Bottom – per cui è sì strano, evoca sì i meandri oscuri della sessualità, però alla fine è uno scherzo, per cui anche quello, dopo il primo acchito, riesce a ritrovare una forma di leggerezza.
C’è stato un punto di partenza per questo tuo ‘Sogno’?
Sono partito dal ruolo di Ermia, che è la Giulietta della situazione. È quella che riesce a mettersi contro la famiglia, a dire di no, a fare di testa sua: rifiuta il matrimonio combinato dai suoi e come coreografo faccio in modo che lo rifiuti in maniera molto veemente. E da lì parte tutta la storia, dal suo voler correre nel bosco, è lei che conduce tutti e quattro verso questo bosco che poi è la scoperta della sessualità e dell’amore. Ermia rimane il fulcro della storia e alla fine non sapremo se tutta la vicenda è stata un suo sogno o se è realmente accaduta. All’inizio Ermia dorme e viene svegliata di colpo dal suono della marcia nuziale e si ritrova in questa situazione claustrofobica in cui è costretta ad andare verso una persona che non vuole e si difende a livello fisico quasi violento.
Dunque dei tre plot principali – i quattro amanti che fuggono nel bosco, i bisticci di Titania e Oberon coadiuvati da Puck e la messinscena comica del gruppo di artigiani capeggiati da Bottom – hai privilegiato il primo?
I quattro amanti hanno un posto molto grande, perché avevo quattro bei ballerini molto giovani e diversi tra loro per cui mi sono divertito a costruire con loro situazioni intricate. Teseo e Ippolita sono anche Oberon e Titania. Nella reggia sono il Padre e la Madre, la famiglia che opprime, e nel bosco diventano comunque due figure padrone: potrebbe essere il sogno di Ermia che li vede in quel modo. Anche loro hanno grande importanza nel plot e Puck idem, però chiaramente partendo tutto da Ermia, il ruolo del suo innamorato Lisandro è più esteso di quello di Puck, ha più sfaccettature, è molto umano, anche se Puck ha delle variazioni difficilissime, e mi sono divertito un pochino a mettere a confronto il mondo della visione, del sogno, ovvero del desiderio, con il mondo della reggia, perché in fondo loro all’inizio vanno verso il bosco, sono spaventati ma ci vanno, è un richiamo quasi sessuale. I matti invece, avendo solo dieci ballerini, ho dovuto ridurli a tre, per cui ho due donne e un uomo, cioè Bottom, Zufolo e Zeppa. Sono tre saltimbanchi che all’inizio si contendono il microfono per cantare e questo stesso microfono sarà quello con cui uno del regno delle fate dirà il monologo finale di Puck. E il balletto si chiude con un’improvvisazione di Puck su Ermia che dorme, come se la benedicesse nel sonno.
Perché li chiami ‘i tre pazzi’? Nel testo di Shakespeare vengono definiti artigiani…
I tre pazzi o i tre matti o i tre eccentrici. Un po’ come in Wagner: gli artigiani, come nei ‘Maestri cantori’, sono quelli che hanno talenti innati e che si danno all’arte. Per fare una cosa più contemporanea li ho trasformati in tre eccentrici che ballano in maniera più rozza degli altri e alla fine il mio grande dilemma era come risolvere la faccenda della recita di Piramo e Tisbe. Molti coreografi se ne sbarazzano. Avendo tre ballerini, ho dovuto restringere i personaggi a Piramo, Tisbe e il leone. E la parete che divide i due innamorati se la costruiscono loro. Però quale musica? Ero in crisi profonda. A un certo punto sono andato nello storico negozio di dischi Fenice a Firenze e ho comprato due cd del ‘Sogno’ di Mendelssohn con la Rotterdam Philarmonic Orchestra diretta da Jeffrey Tate e con gli attori della The Peter Hall Company che, intervallati alla musica, recitano le varie parti con voci così specifiche e così chiare che, arrivati a Piramo e Tisbe, sembrava di ascoltare musica. E ho coreografato su quello.
Finite le difficoltà?
No. L’altra scena che mi ha messo in crisi è quella fra Bottom e Titania. Anche lì mi ha aiutato questo cd perché a un certo punto c’è Bottom che recita con voce da ubriaco, sguaiatissima, intervallata dalla musica dell’Ouverture. Ci sono i violini dell’Ouverture e il suo ragliare da ubriaco, e ho usato quello. Altri hanno usato musica di Verdi o magari hanno saltato del tutto momenti come questo, però io non potevo, anche perché ho scelto di seguire molto da vicino il testo di Shakespeare. Sono partito da Ermia, ma in realtà ho quattro giovani, ho due persone statuarie che rappresentano il potere o la famiglia o lo schiacciamento da parte dell’autorità verso la generazione giovane, per cui è tutto chiaro, segue più o meno il plot shakespeariano, con un linguaggio moderno, perciò i passi a due sono molto carnali, però non mi sono inventato ambientazioni lontane dall’originale perché è talmente ricco, bello, pieno di idee, di sottigliezze, di raffinatezze drammaturgiche che non c’è bisogno di scombinare, anche perché tutto succede a una velocità pazzesca.
La musica è quella di Mendelssohn per il ‘Sogno’, ma non solo. C’è il compositore islandese Johann Johannsson con la colonna sonora del film ‘Il sicario’. Spiegaci questa scelta.
Johannsson è un magnifico compositore di colonne sonore. Peraltro ho ascoltato anche la sua musica ‘colta’ e mi piace di meno. La musica da film invece l’ho usata un po’ qua e un po’ là, per il regno delle fate, per Oberon, per quando Puck dà fuori di testa. E sennò altrimenti è Mendelssohn. Ho usato anche i pezzi corali che non tutti usano. C’è un pezzo corale per soprano e mezzosoprano e c’è un pezzo corale per coro di bambini e li ho usati entrambi. Troverai anche la Terza Sinfonia detta Scozzese, l’ultimo movimento, quando Puck comincia a spruzzare il liquido magico con il fiore. E ogni volta che risento il ‘Sogno’ nei punti musicali culminanti sono affascinato perché è una musica stupenda, piena di magia, piena di suggestioni, chiaramente aiutato da questa benedizione che è stato il doppio cd di Jeffrey Tate.
Tu sei sempre stato vicino al neoclassico, pur contaminandolo con altri stili. Quale linguaggio coreografico usi in questo ‘Sogno’?
Niente punte, perché nella compagnia Opus Ballet ci sono ottimi ballerini ma non veramente classici e hanno questo movimento largo, basso e la punta non sarebbe il loro. Creando una cosa per loro, ho cercato di farli risultare al meglio ma anche lì ho avuto un colpo di fortuna perché sono andato a vedere una prova della loro produzione precedente ‘Four Seasons’ e li ho visti per la prima volta. E lì subito mi sono detto ‘quella è Titania, quello è Oberon, quello è Lisandro…’. La fortuna in quei nove di individuare subito i personaggi. Il decimo era Puck che è cominciato con Lorenzo Terzo, un danzatore che ho molto stimato, era all’Opera di Firenze quando ho diretto il corpo di ballo, è stato Puck nell’anteprima che abbiamo fatto lo scorso aprile a Carrara, poi a un certo punto mi ha telefonato e mi ha detto che non intendeva proseguire e che intendeva fare altro. Lui era stato in Germania per sei anni. E la Germania è un paese che, pur offrendo a un danzatore ottime opportunità, perché hanno compagnie strabilianti e tutto funziona benissimo, allo stesso tempo ti spreme come un limone. Lorenzo è tornato migliorato. Però ho avuto l’impressione che, nonostante abbia ballato bene all’anteprima, ci fosse in lui qualcosa di diverso. E infatti poi è arrivata la notizia che lasciava la danza. E che mi ha messo di nuovo in crisi, perché dovevo trovare un altro Puck. Ho chiesto dunque a Niccolò Poggini del Balletto di Toscana di fare Puck. Niccolò è estremamente contemporaneo, mentre Lorenzo era più neoclassico, dunque il suo approccio è diverso ma altrettanto accattivante perciò lo lascio fare, cioè la struttura è quella che ho dato io dei passi, lui è anche coreografo per cui mette delle cose sue e va benissimo.
Dimmi qualcosa sui video che fanno parte della scena.
Nello spettacolo sono affiancato da due validi professionisti, uno è Ermanno Scervino per i costumi, che ci dato la possibilità di usare capi suoi d’archivio con grande disponibilità e gentilezza. E l’altro è Carlo Cerri alle luci. Carlo ha fatto l’impianto luci usando anche video, un impianto molto suggestivo, a volte narrativo, ma non solo, e aiuta chiaramente ad avvolgerti in questi cambi d’atmosfera, per esempio quando i ragazzi vanno verso il bosco o arriva Bottom con la testa d’asino. Questi due collaboratori, Scervino e Cerri, sono stati determinanti per la riuscita dello spettacolo.
Lo spettacolo è dedicato a Silvia Poletti, critico di danza prematuramente scomparsa….
La scomparsa di Silvia ha lasciato un grande vuoto. Era una critica di danza appassionata, apprezzata in Italia e all’estero, ha sempre creduto nel mio lavoro, io ho adorato la sua franchezza, la sua sincerità, era sempre incoraggiante, c’era un’energia positiva che usciva da lei. Il lavoro le dava linfa vitale e lo avvertivi quando la incontravi.
Tu hai una predilezione per la danza narrativa si direbbe, da Shakespeare a Pasolini, alla tragedia greca, hai affrontato spesso riduzioni coreografiche di testi di grandi autori. È un caso o una scelta precisa?
Dipende. Quando c’è un progetto, se parto dalla musica che di colpo mi ispira, posso costruire qualcosa di astratto. Però se c’è una drammaturgia da seguire o da smembrare o da cambiare come ho fatto in ‘Romeo e Giulietta’, allora la cosa si fa più appassionante anche coi ragazzi. Adesso i ragazzi dell’Opus Ballet, soprattutto alcuni che vengono dal contemporaneo ‘spinto’, non credono molto nell’acting, ed è stato curioso e interessantissimo parlare con loro di questo. Ai ragazzi ho detto ‘pensate al testo, pensate alla storia che state raccontando. Prendete quello come primo passo e poi ci fate arrivare la tecnica’. E hanno aderito benissimo, cioè hanno capito molto bene, e non è una pantomima, è un modo di recitare, perché alla fine quando loro ricercavano, li ho lasciati fare, non li ho costretti in una forma chiusa, però chiaramente una storia va raccontata, non hai le parole ed è chiaro che ci devono essere dei gesti e alla fine è stato veramente interessante. Abbiamo cominciato a gennaio e abbiamo provato a spezzoni, a fine febbraio, poi un altro mese di pausa, e hanno avuto modo sempre di più di calarsi nei personaggi e adesso ho visto il filage l’altro giorno e sono molto contento. Certo, ogni volta che ti accosti a un titolo così famoso ti dici: ma il mio cosa porterà dopo che ci sono stati Balanchine, Ashton o Neumeier? E alla fine occorre molto coraggio perché, dato che nella mia carriera ho avuto modo di vederli tutti, non parto dal punto di vista ‘solo l’opera, io e nient’altro’… Poi però mi dico no, questo sarà il mio ‘Sogno’.
Ashley Taylor (Vienna)
Davide Bombana