laR+ L’intervista

Antonella Ruggiero a passo di tango

A colloquio con la grande cantante italiana, che giovedì 4 luglio inaugura il settimo ‘Lac en plein air’ tornando a interpretare un genere a lei caro

Gli appuntamenti della prima settimana di Lac en plein air sono a ingresso libero e si svolgono nell’Agorà con inizio alle 21
(Piero Biasion)
3 luglio 2024
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Cofondatrice di una delle band più importanti della musica italiana, poi solista innovatrice, almeno da ‘Libera’ (1996) e ‘Registrazioni moderne’ (1997) fino ad ‘Altrevie’, ultimo album nel quale ‘smonta e rimonta’ digitalmente la sua voce. In mezzo, ogni forma musicale commestibile, dalla musica antica alla scuola genovese, dalla sacra all’elettronica, dal pop a ‘Contemporanea tango’, disco del 2010 che ispira ‘Contemporary Tango’. Domani alle 21, Antonella Ruggiero aprirà ‘Tango loves Jazz’, primo dei tre nuclei tematici che compongono il ‘Lac en plein air’ 2024.

Nell’Agorà del Lac, accompagnata dai solisti dell’Orchestra della Svizzera italiana in formazione cameristica, Ruggiero tributerà il tango argentino su musiche di Astor Piazzolla, Carlos Gardel, Ariel Ramírez, regalando anche frammenti di Matia Bazar come ‘Cavallo Bianco’ e l’immortale (e sudamericana) ‘Vacanze romane’.

Antonella Ruggiero, il tango torna a intervalli più o meno regolari nella sua carriera…

Sì ed è sempre interessante affrontare questo repertorio, che negli anni mi ha confermato quanto siano straordinarie molte composizioni nelle quali c’è tanto dell’Italia. Conosciamo la storia degli italiani emigrati in Sudamerica e poi divenuti parte di una tradizione che regala pagine meravigliose. C’è una connessione forte tra questo genere pieno di pathos e la vita: non sono solo canzoni, c’è tutta una vicenda umana legata alle storie che i testi raccontano, e che io amo cantare.

Per gli italiani d’Argentina, Genova è stata uno dei punti di partenza. Genova che lei continua a sentire sua anche se non vi abita più da molto tempo…

Naturalmente sì, perché i ricordi sono sempre presentissimi. Quando vivi l’infanzia e l’adolescenza in un determinato luogo, è impossibile non portarsi con sé i ricordi per tutta la vita. Genova nel frattempo è cambiata, si è espansa, illuminata, sono accadute cose straordinarie e altre meno, fatti di cronaca poco piacevoli, ma la città ha progetti meravigliosi legati al Porto, all’ex Italsider. Le intenzioni sono bellissime, chissà se le vedremo presto realizzate o dovremo attendere molto di più, come io credo. Ma è importante che la volontà esista.

Due suoi lavori discografici riportano la parola ‘tango’: il primo riguarda il suo ‘Contemporanea tango’, disco registrato dal vivo nel 2010 e interamente dedicato a questo genere, pubblicato in tempi ‘non sospetti’. Sentiva di dare una forma definitiva a questa passione?

Nell’arte non c’è nulla di definitivo, c’è sempre movimento e il movimento ci porta a Lugano, dove sarò accompagnata dai solisti dell’Orchestra della Svizzera italiana e da Roberto Holzer, pianista con il quale faccio tanti concerti. È una formazione intensa e sarà buona musica. So che a seguire il tango non ci sono solo ascoltatori, ma anche danzatori. È un mondo a parte, magari non conosciuto da tutti, ma molto interessante.

Un altro ‘Tango’ è l’album del 1983, all’interno dei Matia Bazar, album rivoluzionario nel quale la sua voce si fonde con l’elettronica e che contiene quella ‘Vacanze romane’ che si ascolterà anche a Lugano. Anche se non è un tango, ma forse una rumba…

Le batterie elettroniche e tutto l’arrangiamento di ‘Tango’ si devono a Roberto Colombo, che ancora usa durante i concerti queste magnifiche macchine d’epoca. Sì, credo che ‘Vacanze romane’ possa essere associata a una rumba, una rumba iperelettronica, direi.

Sue parole: “Nel mio mestiere è giusto approfondire musiche di altri territori e culture”. È quanto fa da sempre. In ‘Altrevie’, l’ultimo suo disco, l’approfondimento va oltre le culture per toccare la sua voce, rimescolata fino a creare un nuovo linguaggio…

‘Altrevie’ è un altro punto di partenza, e in questo caso si va in mondi associati alla propria visione rispetto al sentire la musica. Il disco dà dei suggerimenti legati all’immaginazione, lo si potrebbe collegare a colonne sonore o forse, semplicemente, a qualcosa di indefinibile, perché non esistono indicazioni precise, è tutto molto libero e ognuno lo può vivere come crede. È al di là di qualsiasi genere musicale che possa passare nelle radio e la cosa mi piace moltissimo, perché solo così ci si può ancora stupire in questo lavoro, ora che pare non possa più accadere di stupirsi e invece ascoltando la musica antica accade sempre: molto indietro nel tempo si trovano tratti addirittura jazzistici, cose inimmaginabili rispetto a com’è concepita oggi la modalità di far canzoni.

“Per qualcuno è come se Peter Gabriel non fosse mai andato via dai Genesis”, diceva lei tempo fa sintetizzando il fatto che per molti cultori della band, i Matia Bazar finiscono quando Antonella Ruggiero lascia. A quarant’anni da ‘Aristocratica’, che ricordo porta con sé?

Sono stati quattordici anni molto intensi, che ci hanno visti partire da Genova per andare verso l’ignoto, perché nessuno di noi s’immaginava che saremmo finiti a Milano e da Milano nel mondo, e che la nostra proposta sarebbe stata amata in così tanti luoghi del pianeta. Ancora oggi certi brani rimangono, e così i relativi ricordi, visto che in tanti mi dicono di associare l’ascolto di quelle canzoni a tratti della loro vita personale, cosa normale con la musica. Per qualcuno è un viaggio nel tempo, per i giovani una novità, come nel caso di ‘Ti sento’ (rivisitata nel 2023 da Bob Sinclair, ndr). Diciamo che ho cantato brani senza tempo e tutto questo, a distanza di così tanti anni, è la conferma. Ancora piacciono, sono cantati, suonati e anche danzati: mi capita di ricevere video di scuole di danza, anche non professionistiche, che si lanciano in cose assai carine e simpatiche sulla mia voce, segno che il tempo non è passato.

‘Tango’ e ‘Aristocratica’ sono sempre i suoi lavori preferiti dell’era Matia Bazar?

Sì, di quei quattordici anni sono stati gli album più suggestivi, mi sono lanciata in modo istintivo tra i suoni creati da Colombo. L’interpretazione vive anche di queste modalità: se in cuffia arrivano musiche molto interessanti, ecco che la voce va. In ‘Tango’ e ‘Aristocratica’ mi sono inventata al momento tutti quei ‘campi’, che è poi quanto sempre mi accade, ma in quel caso l’esperienza si è rivelata più interessante, visto il contenuto.

È sempre la curiosità che la guida?

Sì, sempre, la curiosità e la ricerca della suggestione, dello stupore. L’appiattimento non fa bene a me per prima, e se non stai bene in una creatività di questo tipo, meglio fare dell’altro o non fare proprio nulla. Ma nel mio caso non c’è pericolo.

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