laR+ La recensione

Turandot nella Cina di Mao

Il Teatro Sociale di Como inaugura la stagione estiva all’Arena rendendo omaggio a Puccini

Si replica stasera e lunedì 1 luglio
(A. Butti)
29 giugno 2024
|

Questo centenario pucciniano reca con sé molti omaggi e Turandot, opera ultima e incompiuta del Maestro, è fra le opere più rappresentate. Prova ne è il fatto che due teatri d’opera di riferimento per il nostro territorio, il Teatro Sociale di Como e il Teatro alla Scala, stanno proponendo in contemporanea due nuove produzioni. Ma mentre quella scaligera, esaurita da mesi a ogni replica, è una parata di star da ‘premiata ditta’ (Netrebko con ex-marito Yusif Eyvazov-Alagna -Livermore), e in ciò sta il suo pregio e forse il suo limite, quella del Teatro Sociale di Como si iscrive nella decima edizione di ‘200.Com Un progetto per la città’, che inaugura la XVII stagione del Festival Como Città della Musica all’Arena del Teatro Sociale.

L’allestimento è caratterizzato dalla partecipazione del Coro 200.Com con più di 200 cantori amatoriali, cuore del progetto partecipativo di AsLiCo, diretti da Massimo Fiocchi Malaspina, che guida anche il coro di voci bianche del Teatro Sociale. Punto forte di questa nuova produzione è la regia, affidata, insieme alle luci, all’argentina Valentina Carrasco, pluripremiata collaboratrice di La Fura dels Baus dal 2000, attivissima nei teatri di tutto il mondo, vincitrice del Premio Abbiati con ‘La Favorite’ al Teatro Donizetti di Bergamo e candidata all’Opera Awards con ‘Nixon in Cina’ all’Opera de Paris.

Scordatevi le fiabe

Carrasco ci regala una regia originale, intelligente, coerente e perfettamente funzionale. Dimentichiamo l’omonima commedia-fiaba di Carlo Gozzi ambientata in una Cina crudele ma fantastica, piena di dragoni e di colori, dove alla fine comunque in qualche modo – in un modo che Puccini non aveva voluto o saputo raccontare – l’amore trionfa e cambia il mondo. Qui non siamo nel mondo incantato delle fiabe, ma nella cruda realtà di una dittatura, quella cinese appunto. La bandiera rossa con le stelle ricorda moltissimo quella della Repubblica Popolare cinese, i personaggi principali sono in uniforme, anche il popolo ha la sua grigia uniforme e il fazzoletto rosso al collo, la scena all’aperto è occupata da un’enorme scalinata su cui è adagiato il tappeto rosso della bandiera e dove sfilano soldati e popolo che il regime cerca di ridurre al silenzio. Ma è appunto il popolo che parla e chiede grazia per il principe di Persia, il popolo che invoca clemenza per i candidati al matrimonio che finiscono sotto l’ascia del boia.

Turandot (Hanying Tso, soprano cinese di Taipei), figlia dell’imperatore Altoum ( Davide Capitanio), è la principessa gelida e crudele che, in nome di un torto subito secoli prima dalla sua antenata, ripudia le nozze, non vuole dividere il potere e difende la sua libertà fino a diventare una dittatrice spietata. Come nelle parate di regime che vediamo in tv, il suo viso campeggia negli striscioni, alimentando il culto della personalità che affascina i popoli, e affascina anche il principe Calaf (il tenore Max Jota). Ma Calaf, suo padre Timur (Baopeng Wang) e Liù (il soprano albanese Alessia Merepeza) sono fatti di una pasta diversa, che non si lascia omologare dal potere e che potrebbe porsi alla guida di una rivoluzione silenziosa, dettata dall’amore.

Crescendo spietato ma liberatorio

Lo spettacolo propone soluzioni registiche notevoli, suggerite da un libretto che non si fa scrupolo di mostrare scene di tortura nelle quali Puccini è maestro. Così, in un crescendo spietato ma alla fine liberatorio, mentre il popolo tifa per lui, Calaf – come poi Liù dopo di lui – viene torturato dagli sgherri del regime durante lo scioglimento dei tre enigmi. E il popolo stesso è ridotto brutalmente al silenzio dalle guardie mentre Calaf canta il suo ‘Nessun dorma’, che diventa quasi una promessa di cambiamento, di un futuro luminoso e migliore con la prefigurazione di una simbolica alba della vittoria.

I tre dignitari di corte Ping Pang Pong (Juneok Park, Raffaele Feo, Lorenzo Martelli) sono molto convincenti nei panni di tre burocrati ridicoli che affogano tra le scartoffie. L’opera si conclude con il funerale di Liù, cioè con le ultime note scritte da Puccini, e la scelta ben si addice a una regia in cui il finale trionfalistico di Alfano sarebbe fuori luogo, così come quello introspettivo di Berio. Jacopo Brusa dirige l’Orchestra 1813 con dolcezza e con fragore. Si replica stasera e lunedì 1 luglio.


A. Butti
Punto di forza la regia

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔