A colloquio con quella che al momento è la rock band per eccellenza in Ticino, in uscita col nuovo disco ‘A+C’, emozionante e da godere ad alto volume
Si sono presi un bel ritmo gli Houstones. In studio con un produttore che ne ha colorato in qualche modo l’anima, Serena Maggini (SM) a raddoppiare le voci con Saul Savarino (SS), Joel Pfister (JP) e Maurizio Cuomo alle ritmiche. Quella che era una band potente ora ha imparato a svincolarsi dai generi, risultando seducente, sexy e toccante. Otto brani, registrati in due tranche, che coprono uno spettro musicale difficilmente riconducibile ad altro che a loro. La lingua passa dall’inglese all’italiano, ma è talmente integrata nella musica da passare come suono, puro ritmo. Un disco emozionante, da godere ad alto volume, godendo delle sue sfumature, dei suoi rintocchi, delle sue luci. Rock? Pop? Porte si aprono verso futuri intriganti, come la magica ‘Squeez’. Musica da ascoltare fino a mandarla a memoria… Sorpresi durante una pausa nella loro serata prove, gli Houstones, probabilmente la rock band per eccellenza al momento in Ticino, ci concedono qualche riflessione sulla loro storia e sul loro nuovo disco, intitolato ‘A+C’.
Saul, sei da sempre negli Houstones che si sono modificati negli anni, a partire dal 2012. Qual è la vostra storia?
SS – Ho iniziato con altri due musicisti ormai dodici anni fa, poi è arrivato Joel con il quale sono ormai passati dieci anni di musica in comune, trovandoci ormai come fratelli. Primo disco nel 2016, secondo album 2019, nel 2020 l’arrivo di Serena, ed eccoci qui con il terzo.
Informazione importante, visto che di Saul abbiamo detto. Che tipo di trascorsi avete Serena e Joel? Qual è la vostra storia musicale?
JP – Io vengo dal metal, con diverse esperienze anche suonando in vari festival, nei Brutal Martyrium insieme ad Attila Folklor (della sua esperienza abbiamo avuto occasione di parlare la scorsa estate nell’articolo Da ormai vent’anni L’è Tütt Folklor).
SM – Io suonavo con Nic Gyalson, che pur essendo un’artista solista aveva una band sua, della quale facevo parte. Gli Houstones sono però la mia prima esperienza in una band democratica, dove si collabora con il medesimo peso.
Siete ormai arrivati al terzo disco che una volta, storicamente, confermava la statura di una band. Con A+C voi avete deciso di mischiare le carte rispetto a quel che facevate prima, introducendo in parte l’italiano, avete lavorato con Marco Fasolo che ha esternato il vostro lato Beatles e così via…c’è un cambiamento positivo rispetto al passato ma è rischioso per gli ascoltatori?
SS – Per i Beatles non ci voleva Marco Fasolo, sono sempre stato un beatlesmaniaco! Sono felice che si sentano, non l’avrei detto lavorandoci. Non crediamo di avere un pubblico storico così numeroso da sentirsi deluso o tradito, quello che ci ha sempre guidato è il voler fare musica che ci piacesse e suonasse bene. Le tastiere tendevamo a nasconderle, ora Serena ci dà un taglio diverso. Tutto concorre (e forse qui c’è qualcosa dei Beatles) alla creazione del pezzo, senza personalismi e cose del genere!
Vedendovi dal vivo lo scorso anno all’Oops di Lugano mi siete sembrati compatti e variati, una bella sorpresa dove si legge questa varietà di stili.
SS – Siamo sicuramente più variati rispetto al passato ed è una cosa che abbiamo ricercato. Devo dire che avevo un po’ paura di perdere la via che va verso lo stoner rock, le chitarre e quel mondo, però in questo modo, con le chitarre un po’ più indietro ci hanno guadagnato i pezzi. Abbiamo messo in avanti le ritmiche, le melodie delle voci e le canzoni sono venute bene, anche a livello di sound.
Citavi giustamente lo stoner come parte del vostro passato e mi sono trovato a chiedermi: che musica fanno oggi gli Houstones? Se fino a un anno fa potevo definirvi desert rock oggi forse definirvi pop-rock non sarebbe sbagliato. Che ne pensi?
SS – Eh, bella domanda! Pop-rock ormai non significa nulla, una volta forse saremmo stati alternative rock. La sparo grossa ma mi collocherei fra Fugazi, Hüsker Dü, il punk più pesante e i Radiohead, che sono in fondo i nostri ascolti. Mi ha sempre interessato la musica che suona e che ti tira in mezzo, senza troppi ermetismi. Le cose devono piacerci, trascinarci.
SM – Forse dalla mia entrata, i miei vocali e le mie tastiere hanno un po’ fuorviato la linea degli Houstones, dandogli una spolverata pop in più.
Il bello è vedere anche le differenze fra un disco e l’altro, a livello di suono e anche di colore. Avete iniziato con una grafica nera, poi siete passati al blu, all’oro e verde, e al rosso. Questo cambiamento cromatico cosa significa per voi?
SS – Questo deriva in parte dalle nostra capacità di marketing. Tutti si riferivano ai nostri dischi come quello blu, quello oro e così via. Non vedevano ne immagini ne titoli e abbiamo quindi deciso di spingere in questo senso. A+C prende spunto dalle sorelle Ambra e Clarissa Guidotti, che hanno girato i nostri video e guidato la nostra immagine in questo mondo.
Dove potremo vedervi dal vivo?
SS – A Mendrisio per la Festa della musica il 22 giugno e il 17 agosto al Mono di Locarno.