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‘Il problema dei 3 corpi’, sci-fi cinese come piace a Netflix

La prima versione televisiva è divisa in 30 episodi; più breve il prodotto di massa destinato al pubblico occidentale. Noi l'abbiamo vista così...

Eiza González (Auggie Salazar)
4 aprile 2024
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Ci sono due tipi di soluzioni a questioni veramente complesse: quelle che richiedono cinque anni di studio e un dottorato di ricerca, e poi quelle semplici e immediate ma sempre deludenti. ‘Il problema dei tre corpi’, ci assicurano i lettori della trilogia di libri dell’autore Liu Cixin, non è affatto un prodotto semplicistico. Anche la sua prima versione televisiva, quella cinese divisa in 30 episodi (si trova gratuitamente online su Rakuten Viki), pare sia all’altezza dell’originale. Poi però è arrivata Netflix, che ne ha fatto un prodotto di massa per il pubblico occidentale. E si sa, i prodotti di massa, tanto più se occidentali, sono come il secondo tipo di soluzione a un problema complesso: sempre deludenti.

Sarebbe ingiusto però accusare interamente la casa di produzione statunitense per eventuali limiti riscontrati nel ‘Problema dei tre corpi’ (titolo, in realtà, del primo volume della saga chiamata ‘Memorie del passato della terra’). I primi otto episodi provano a mettere insieme astrofisica e fantascienza in un modo che è difficile immaginare troppo più coerente di così. Certo nei libri ci sarà maggiore aderenza alle questioni puramente teoriche, le speculazioni suoneranno meno “spiegoni”, ma al centro della trama c’è pur sempre un’invasione aliena. Dal dolce ‘E.T.’ a ‘La Guerra dei mondi’ (in cui gli alieni usavano sangue umano come fertilizzante per l’equivalente dei loro campi di grano), passando per ‘Mars Attack!’ e ‘Indipendence day’, il cinema ha sempre subìto il fascino morboso di un “diverso” misterioso, quasi inimmaginabile e spesso tenuto nascosto al nostro sguardo. Gli alieni servono a misurare la nostra piccolezza all’interno dell’universo e spingono a chiedersi cosa ci renda veramente speciali, in cosa consista quella cosa che chiamiamo “umanità”. D’altra parte, se il progresso per noi è solo quello tecnologico, cosa fare di fronte a una civiltà anni luce più evoluta tecnologicamente se non sottomettersi, dichiarare la resa?

Astrofisica e trama

Il riferimento più vicino al ‘Problema dei tre corpi’ è senza dubbio ‘Arrival’, tratto anche questo da un racconto fantascientifico, ‘Storia della tua vita’, dell’autore americano di origine cinese Ted Chiang. In ‘Arrival’ alla fantascienza si univa la filologia e il punto dell’invasione aliena, rappresentata davvero in modo originale con navi spaziali come mandorle verticali e gli alieni stessi come una specie di polpi giganti, stava nella decodificazione di un linguaggio che ci permettesse di comunicare con loro. Nel ‘Problema dei tre corpi’, almeno in questa prima parte della saga, c’è maggiore separazione tra i dilemmi puramente astrofisici e la trama. Tanto per cominciare, se il problema dei tre corpi riguarda l’imprevedibilità di un sistema in cui, appunto, tre corpi esercitano la propria forza gravitazionale l’uno sull’altro, o su un quarto corpo, ed è di per sé interessante vederne rappresentate, immaginate, le possibili conseguenze su un pianeta – clima imprevedibile ed estremo, civiltà distrutte in un battito d’occhi da un’apocalisse geologica – all’interno della trama funziona come semplice presupposto di base affinché gli alieni in questione (chiamati San-Ti) decidano di imbarcarsi in un viaggio interstellare per colonizzare o, in alternativa, venire accolti sul pianeta Terra. Sembra un aneddoto ben ricercato, un effetto speciale per il gusto degli effetti speciali, piuttosto che un tema davvero centrale.

Così tutta la trama investigativa iniziale, il complotto intricato come in ‘Seven’ o ‘Zodiac’, pare un po’ pretestuoso, e a conti fatti deludente. Un esempio. La scienziata Auggie Salazar, esperta di nanofibre, comincia a vedere, impresso sulla propria retina, un conto alla rovescia, un timer che scala all’indietro come quello di una bomba a orologeria. Serve (spoiler minimo, si capisce quasi subito) a farla desistere dalle sue ricerche. Non sarebbe bastato puntarle una pistola alla testa? Mandarle delle lettere minatorie come si faceva una volta? Per non parlare del complesso videogioco utilizzato per reclutare scienziati competenti, neanche fossero quattordicenni bravi a Call of duty a cui far manovrare droni in guerra.

E così questi alieni quasi onnipotenti (che però hanno pensato bene di avvertirci 400 anni prima di arrivare) sembrano ricorrere a strumenti molto umani come il lobbying, la creazione di sette e, in definitiva, la pubblicità, il guerrilla marketing. I sofoni di cui si parla a un certo punto, dei computer grandi quanto un protone, in grado di spiare l’intera umanità e creare illusioni visive per generare panico e caos, non sono così distanti dallo schermo pubblicitario che alla stazione Termini di Roma diceva ai pendolari: “Siete degli insetti”. Con la differenza che nella realtà nessuno ha dato di matto, l’idea di essere solo degli scarafaggi, da Kafka in poi, non è fantascienza per più persone di quel che si pensi.

Vale la pena difendere l’umanità?

Resta il solito dilemma centrale: saranno buoni o cattivi? Li dovremmo combattere o accogliere? Il che significa anche chiedersi se l’umanità vale davvero la pena di essere difesa o se sia irrimediabilmente corrotta, troppo stupida e ottusa nella propria essenza. All’inizio del ‘Problema dei tre corpi’, il primo contatto avviene su impulso di una scienziata frustrata che aveva vissuto la terribile repressione maoista degli anni 60. Ai produttori David Benioff e D.B. Weiss, già creatori di Game of Thrones, piace cominciare le loro storie con una figlia che osserva l’esecuzione pubblica del proprio padre. Nel mondo fantastico dei draghi toccava ad Arya Stark, poi finita a elaborare la propria vendetta in una specie di romanzo picaresco, qui a Ye Wenjie che molti anni dopo, anche se messa in guardia da un alieno che le dice di lasciar perdere altrimenti verranno per sterminarli, decide di continuare a contattarli perché, in ogni caso, l’umanità non si può salvare da sola. In molti la pensano come lei e si crea, nel giro di qualche decennio, una polarizzazione tra chi vuole difendere i confini del pianeta Terra dagli invasori e chi, invece, li idealizza al punto da farci sopra una religione. Un mondo, cioè, diviso tra fondamentalisti religiosi e destrorsi guerrafondai. Messa in questo modo, in effetti, la questione degli alieni ritrova una sua nuova attualità.

Al momento non è ancora certo che ci sarà una seconda stagione, ma considerata la materia a disposizione e il successo, se non altro mediatico, di questi primi otto episodi, sembra difficile che Netflix ci rinunci. Benioff e Weiss (a cui si aggiunge un terzo produttore, Alexander Woo, che aveva lavorato in passato alla serie di vampiri True Blood) hanno già promesso una scena scioccante all’altezza dell’episodio delle “nozze rosse” di ‘Game of Thrones’, e il secondo volume della saga di Liu Cixin, ‘La Materia del cosmo’, compie un salto nel futuro di duecento anni, permettendo alla storia di liberarsi dai vincoli della realtà che hanno reso la prima stagione più prevedibile. La speranza è che ‘Il problema dei tre corpi’, se ancora si chiamerà così, sia sempre meno guerrilla marketing e più spionaggio spaziale, meno problemi scientifici fini a sé stessi e più morti ammazzati. In fin dei conti è questa l’umanità, o almeno l’umanità che funziona in tv: sangue e tradimenti.