La riscrittura di Édith Piaf per mano di Danilo Boggini all’interno dei Môme il 2 febbraio al Teatro Sociale, sede di imprevedibili punti di contatto
“Puoi ingabbiare l’usignolo, ma non puoi farlo cantare. Puoi intrappolarlo, ma dovrai tarpargli le ali. Perché quando volerà, si librerà come un falco, ma quando morirà si tufferà come un’aquila”. Con armonie di David Crosby e Graham Nash al seguito, nel 1976 Elton John mise in musica un ritratto di Édith Piaf intitolato ‘Cage The Songbird’, un testo del fido paroliere e poeta Bernie Taupin. ‘Cage The Songbird’ è uno dei numerosi omaggi a Édith Giovanna Gassion, la più grande voce di Francia, soprannominata ‘passerotto’ vuoi per la struttura minuta, vuoi per il ‘gorgheggio’, vuoi per la fragilità. Il prossimo 2 febbraio alle 20.45, il Teatro Sociale di Bellinzona ospita ‘Édith Piaf, l’anima jazz’, la rilettura in chiave jazz dei Môme (da ‘La Môme Piaf’, primo nome d’arte della giovane Édith, strappata alla strada dall’impresario Louis Leplée). A guidare i Môme è Danilo Boggini, che ha cercato, trovandoli, punti di contatto apparentemente non visibili tra il repertorio di Piaf e il mondo del jazz.
«È evidente come Édith Piaf non sia una cantante jazz – ci spiega Boggini, introducendo lo spettacolo – ma ‘Les feuilles mortes’, canzone che lei porta in America traducendola in inglese, è forse lo standard jazz più eseguito. ‘La vie en rose’, che Louis Armstrong interpreta, e altri brani come ‘Hymne à l’amour’ sono entrati prepotentemente nel repertorio jazzistico. Aggiungo anche la sua collaborazione con l’autrice Marguerite Monnot, che scrive per lei i pezzi americani: si ascolti ‘Milord’ e si potrà notare come il giro armonico sia decisamente jazzistico». ‘Édith Piaf, l’anima jazz’ è una sorta di prolungamento dell’esperienza manouche denominata Hot Club de Suisse, ascoltata al Sociale un anno fa e poco più. Anche le note introduttive di questo nuovo ne fanno menzione: “Il celebre scatto fotografico in cui vediamo la Môme intenta a leggere la mano a Django Reinhardt ci appare suggestivo (…) ma tutto sommato marginale. Eppure uno sguardo attento rivela insospettabili punti di contatto fra i due mondi, capaci di un dialogo maturo e fecondo”. Spiega Boggini: «La prima idea era quella di suonare Édith Piaf con gli stessi musicisti, in stile manouche, aggiungendo cosiddetta ‘pompe’, la seconda chitarra». Poi, il cambio di formazione: «A un chitarrista dall’esperienza manouche, che oggi suona anche molto altro, si aggiunge un batterista con il quale suono da trent’anni»; gli arrangiamenti manouche, già pronti, sono stati ridefiniti, per una conduzione ritmica «più moderna, più libera».
Con Boggini (fisarmonica, voce narrante e arrangiamenti), suonano Val Bonetti (chitarre), Marco Ricci (contrabbasso) e Mauro Pesenti (batteria). Édith Piaf è Beatrice Zanolini, che “è” non nel senso dei tributi in cui l’obbligo di riproduzione dell’originale è prioritario (Zanolini è bionda, tanto per cominciare): «La cover band può anche essere un’esperienza bella, ma uno spettacolo teatrale e jazzistico deve essere creativo. E nemmeno proponendoci come gruppo jazz potremmo garantire una ‘copia fedele’ di Édith Piaf, visto che nei suoi brani non ci sono improvvisazioni, al massimo degli obbligati strumentali». La libera riscrittura in chiave jazz presenta una sola eccezione ed è ‘Non, je ne regrette rien’: «Ci sono brani che resistono a qualsiasi arrangiamento jazz, e se a quella canzone si toglie il bolero (Boggini batte le dita sul tavolo e ne riproduce l’andamento, ndr), si toglie quasi tutto». Il resto, è un metter mano comunque rispettoso dell’originale: «Non vi è alcuna volontà di stravolgere, e ho conservato alcune frasi originali di Marc Bonel, il fisarmonicista che ha accompagnato Édith Piaf per vent’anni». Come i mattonicini originali di antiche case ristrutturate, piccole ‘chicche’ del musicista transalpino qua e là rimangono. In nome della duttilità della canzone francese, prepariamoci dunque a ‘La vie en rose’ che cominicia in tre quarti e poi diventa bossanova e a ‘Les feullies mortes’ con improvvisazione in cinque quarti. «Non sono solo io a leggere l’anima jazz di Édith Piaf», aggiunge Boggini: «Boris Vian dice sostanzialmente che Piaf è una cantante blues, se non che il blues, in Francia, non viaggia sulla struttura a dodici misure, va in tre quarti ed è una fisarmonica a trascinarlo. Penso anche a ‘Pour moi toute seule’, così jazzistico nel suo andare, un 12/8 sufficientemente blues».
“Voce narrante”, si è scritto poco sopra. Sopra un brano di sua composizione, che farà da sottofondo al parlato, la voce narrante sarà proprio quella del fisarmonicista: «Mi è parso necessario raccontare. Le canzoni di Édith Piaf sono spesso legate a una biografia difficile, quella di chi è nata in una famiglia di saltimbanchi, depositata dapprima presso una nonna che ha un circo di pulci, poi da un’altra ancora, che dirige un bordello. È facile ricondurre i temi di ciò che Piaf canta a questi particolari, così come è facile constatare come la canzone realista francese, che soppianta quella popolare, ancestrale, ha in lei il suo punto di riferimento». Gli accadimenti che popolano la vita della cantante bastano a definirne la drammaticità che ricade sui contenuti musicali, ma l’elemento artistico, ci tiene a sottolineare Boggini, è più «scaltro» di quanto si possa pensare: «Leggerò alcune righe da ‘La signora Dalloway’ di Virginia Woolf, per dire di come la cantante di strada sia uno stereotipo letterario molto presente. Édith Piaf è salda su questo punto: dice all’amica Simone Berteaut “forse è meglio che io mantenga quest’aria di strada”. Quel vestito nero dal quale emergono soltanto il viso e le mani non è casuale, non nasce immediatamente: alla morte di Leplée, con l’arrivo Raymond Asso, il personaggio va oltre i foulard iniziali, viene ridefinito, nella scelta dei testi e del vestiario, frutto di un sapiente disegno artistico, molto preciso. E il suo modo di cantare, di quello sguaiato tipico della cantante di strada, si fa più controllato».
Di ‘Édith Piaf, l’anima jazz’ abbiamo chiesto il possibile, lasciamo Boggini alle prove. Resta solo una distinzione da fare: lo spettacolo è pensato in due versioni, quella del 2 febbraio al Sociale e negli altri teatri che si aggiungeranno, e il concerto puro, la sua «versione jazzistica al 100 per cento»: sarà il primo atto di JazzAscona 2024.
Danilo Boggini