La recensione

Osi in Auditorio con la Prima Scuola di Vienna

Alexei Ogrintchouk, oboista Play&Conduct, che quando non si lascia alle spalle l'Orchestra, sfiora la perfezione (anche grazie all'Orchestra)

Visto allo Stelio Molo
(OSI/ Swen Baldinger)
12 gennaio 2024
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Con l’oboista russo Alexei Ogrintchouk solista e direttore sono ripartiti giovedì i concerti in abbonamento dell’Orchestra della Svizzera italiana: nove da gennaio ad aprile, i primi quattro all’Auditorio di Besso con la formula Play&Conduct, gli altri cinque nella Sala Teatro del Lac. Una ripartenza con la Prima Scuola di Vienna: due opere di Mozart e due di Beethoven, poi giovedì prossimo ci saranno due opere di Haydn.

Ha aperto il programma l’Ottetto per fiati op. 103 di Ludwig van Beethoven (che porta la data 1792) con Ogrintchouk seduto come primo oboe tra sette magnifici fiati della nostra Orchestra. Dunque un approccio cameristico, commisurato alle dimensioni dell’Auditorio e valorizzato da un’interpretazione che ha dato gran risalto alle peculiarità ritmiche e timbriche dell’opera.

Il 1769 per il tredicenne Wolfgang Amadeus Mozart è un anno di tregua, che può trascorrere in pace nella sua Salisburgo, dopo essere stato in diverse contrade d’Europa, esibito come ragazzo prodigio, talvolta quasi come fenomeno da baraccone. Vanno quindi ascoltate con il rispetto dovuto ai primi passi del futuro sinfonista le sue tre Cassazioni, in particolare quella in Sol maggiore KV 63, eseguita giovedì con una stupenda cura dei dettagli e un respiro da grande interpretazione.

Nella trascrizione per oboe dell’aria ‘Ah se in ciel, benigne stelle’ per soprano e orchestra KV 538, Alexei Ogrintchouk ha esibito tutte le sue doti di virtuoso e di interprete, ma ha un po’ dimenticato alle sue spalle l’Orchestra, costretta a seguirlo con qualche inevitabile raffazzonatura.

Poi gran finale con la Seconda Sinfonia di Beethoven, che porta la data 1802, anch’essa gratificata giovedì da un’esecuzione perfetta, forse per le dimensioni dell’Orchestra, in scena con i suoi soli ventotto archi, forse per le dimensioni della sala… meglio dire, con un po’ d’orgoglio, per l’alta qualità dell’Orchestra della Svizzera italiana.

Il programma del concerto di giovedì spaziava sugli ultimi trent’anni del Settecento, turbolenti assai per l’Europa… In Francia la Rivoluzione travolgeva quell’aristocrazia, che in Austria poteva continuare a vivere in ozi beati e, la sua parte migliore, coltivare le arti…

Con qualche inquietudine penso alla fortuna di vivere adesso in una Svizzera italiana, che con meno di mezzo milione di abitanti possiede un’orchestra sinfonica come di solito possono permettersi regioni demograficamente milionarie.