laR+ La recensione

‘Il ragazzo e l'airone’, profondità e spensieratezza

È il grande ritorno al cinema d’animazione di Hayao Myazaki, ed è imperdibile (dal 4 gennaio nelle sale)

Dieci anni dopo
(Studio Ghibli)
3 gennaio 2024
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Dopo ben dieci anni dal suo ultimo film, ‘Si alza il vento’, Hayao Miyazaki torna in sala con grande sorpresa, visto il suo annunciato ritiro dal cinema causa l’età avanzata, vista la quasi totale assenza di una strategia promozionale per questo suo nuovo prodotto, ‘Il ragazzo e l’airone’ che, ciononostante, sta già riscuotendo grande successo in tutto il mondo, di pubblico e di critica. Riapre dunque lo Studio Ghibli, almeno per ora, con una fusione tra due dei suoi film più d’impatto, ‘La città incantata’ e ‘Il castello errante di Howl’, anche se, questa volta, virando verso una maggiore serietà e ricordando allo spettatore più avvezzo al genere, ‘Una tomba per le lucciole’ di Isao Takahata, senza essere troppo struggente e tragico nell’esposizione. Un ritorno insperato ma sempre apprezzato e, secondo voci di corridoio, probabilmente non sarà l’ultimo, almeno finché Miyazaki continuerà ad avere quelle idee che ormai l’hanno reso un punto nevralgico dell’animazione giapponese e mondiale, sempre con grande padronanza ed equilibrio tra la spensieratezza e la riflessione filosofico-psicologica.

Una nuova vita

Siamo negli anni 40, a Tokyo, durante la Guerra del Pacifico. Mahito Maki è un ragazzo tranquillo e spensierato fino alla morte della madre in un tragico incendio che distrugge l’ospedale in cui lavora; Mahito è costretto a trasferirsi in campagna con il padre Shoichi da Natsuko, zia e nuova matrigna del giovane. Bullizzato a causa della sua perdita a scuola, Mahito fatica a inserirsi nella sua nuova vita e ad accettare Natsuko, mentre uno strano airone grigio comincia a perseguitarlo, cercando di spaventarlo e di indurlo in tentazione all’odio. Tuttavia, il ragazzo è dotato di grande coraggio: costruisce arco e frecce per cacciare l’airone, che è in realtà un essere magico che oscilla tra il kami (divinità) e l’oni (demone). Quando una strana torre in disuso nella proprietà attira Natsuko, che scompare, Mahito e la domestica Kiriko la inseguono al suo interno, rivelando un mondo fatato che li metterà alla prova come una sorta di inferno dantesco, saggiandone il coraggio e lo spirito.

Accettazione

L’airone cenerino, da tradizione dell’antico Egitto, era un simbolo di rinascita a causa del suo ritorno stagionale sul Nilo, spesso accostato alla fenice, dunque sinonimo di buon auspicio; Miyazaki decide dunque di ribaltare completamente la mitologia, rendendo l’animale particolarmente ambiguo, a tratti infondendolo di qualcosa di infimo e subdolo, atto a far vacillare l’eroe nel suo periglioso viaggio. Tra l’elaborazione del lutto e l’accettazione di nuovi legami parentali, il regista costruisce una storia di realtà e fantasia, un’avventura interna che è un percorso verso un raggiungimento, in questo caso una serenità tantrico-nirvanica. Oltre a ciò, peculiare è la scelta di sporcare, in precisi momenti emotivi, l’animazione che, tolti vezzi tecnici apprezzabili ma forse estetizzanti, riesce a trovare un’identità propria molto interessante, a dimostrazione che a volte è meglio optare per una low-key animation piuttosto che per la CGI, decisamente molto più costosa e, in questo caso, probabilmente molto meno efficace.

Condivisione

In generale, si sente l’urgenza e soprattutto il legame profondo del regista con quest’opera, originata proprio da testi letterari importanti per la sua infanzia (sicuramente ‘E voi come vivrete?’, di Genzaburō Yoshino, da cui il film trae il titolo), con una forte volontà di condivisione che non può che colpire in pieno lo spettatore, il quale assiste con piacere al distendersi della trama, ma soprattutto al coinvolgimento emotivo del protagonista che, per non rimanere bloccato in un limbo, deve prendere una posizione secondo il proprio giudizio. Non a caso, la scritta sullo stipite della porta della torre richiama quella dell’Inferno di Dante, con la dicitura “fecemi la divina podestate”, risultando di conseguenza una critica all’ignavia di ogni sorta, anche e nonostante le avversità.