Al Lac il ‘cinematografico’ Massimo Popolizio, in uno spettacolo intenso dai molti momenti felici, salutato da una platea ancora una volta gremita
Arthur Miller era già un drammaturgo affermato (reduce dalla fortuna toccata alla sua pièce ‘Morte di un commesso viaggiatore’) quando accusò un colpo: il suo nuovo lavoro non si stava rivelando un successone. Dopo la tiepida accoglienza al Coronet Theater di Broadway nell’autunno 1955, il destino di ‘Uno sguardo dal ponte’ sembrava dunque segnato. Peter Brook invece lo resuscitò nel West End londinese e la versione cinematografica di Sidney Lumet del ’61 (fece scandalo il bacio di Raf Vallone sulla bocca di Jean Sorel) lo mise perlomeno tra gli indimenticabili se non proprio tra gli immortali.
Veniamo al lavoro milleriano visto al Lac. Interprete principale nei panni di Eddie e regista di questa nuovissima versione, Massimo Popolizio ha tenuto fede ai suoi propositi: “Per me è una magnifica occasione per mettere in scena un testo che chiaramente assomiglia molto a una sceneggiatura cinematografica – aveva dichiarato, aggiungendo – una grande storia raccontata come un film, ma a teatro”.
Le luci discrete (l’impianto è di Gianni Pollini) sulle quali si apre il sipario mettono in risalto la semplice quanto elegante scenografia (Marco Rossi). Si crea così un’intrigante atmosfera d’antan. Quando le luci si fanno ancor più tenui, ecco l’occhio di bue che introduce l’avvocato/narratore (grande prova di Michele Nani), malfermo sulle gambe ma sicuro nel ripeterci il suo mantra: “Ci sono le leggi e vanno rispettate”. L’incontro tra Eddie e i cugini si svolge con un protocollo ufficiale da Ottocento. Le due famiglie schierate l’una contro l’altra, presentazioni reciproche e poi via con abbracci e baci, parecchi anche sulla bocca. I cugini sono appena sbarcati clandestinamente dall’Italia. Spunta qui un richiamo alla nostra realtà: che significa clandestino? Noi li chiamiamo immigrati illegali, però il concetto è quello. Prima ci volevano, adesso non ci vogliono più negli Usa, si lamenta Eddie consolandosi poi ascoltando ‘Ridi, pagliaccio’ (come era solito fare De Niro/Al Capone nel film di Brian De Palma ‘Gli intoccabili’).
“Devi smetterla di gettarmi le braccia al collo e sederti sulle mie ginocchia come quando avevi 12 anni!”, sbocca Eddie rivolto a Catherine (l’esuberante Gaja Masciale). È il primo scricchiolio in quella crepa che diventerà dramma edipico. Eddie non vede certo di buon occhio la simpatia che la ragazza – di cui è tutore dopo la morte dei suoi genitori – sembra nutrire verso Rodolfo (Lorenzo Grilli, capace di brevi epperò sicuri passi di danza). “È ’na vergogna, non è un maschio. È una biondina!” Gelosia edipica o vera omofobia? Fatto sta che lui insiste: lamentandosi, accusando il biondino di voler sposare la sua protetta solo per potersi garantire la cittadinanza statunitense, abbandonandosi a mossettine provocatorie e infine insistendo con la ribadita ingiuria: “Non è regolare, è biondo!”. A poco valgono le precisazioni di Catherine al suo tutore: “Rodolfo viene dalla Sicilia, dove ci sono stati i Normanni”. Non porta a granché nemmeno la tentata mediazione di Beatrice (Valentina Sperlì), la moglie di Eddie: “Guarda che Catherine è una donna ormai. E deve fare la sua vita”.
Niente da fare: al colmo della gelosia, Eddie dapprima costringe la ragazza a rinunciare a un impiego ottimamente retribuito (“Potresti incontrare altri uomini”). Poi passa alla provocazione diretta verso Rodolfo, schiaffandogli un bacione sulla bocca. L’ultima sua spiaggia per liberarsi di Rodolfo? Denunciare lui e suo cugino Marco (Raffaele Esposito, l’unico a esprimersi in dialetto siciliano) guarda un po’ per immigrazione illegale.
È un gradevolissimo crescendo drammatico, arricchito da meccanismi cinematografici come il ralenti o il fermo immagine, e di innegabile effetto scenico. Spettacolo intenso dai molti momenti felici, salutato da una platea ancora una volta gremita.