Venerdì 6 ottobre ad Ascona nella chiesa del Collegio Papio, il violinista statunitense con l'Osi e l'uzbeko Aziz Shokhakimov
È un talento in ascesa nel panorama violinistico l’americano Stephen Waarts, che venerdì 6 ottobre ad Ascona, alle 19.30 nella chiesa del Collegio Papio, ritaglia il cuore della locandina con uno dei più amabili Concerti per violino di Mozart, il quarto K 218. Ad accompagnarlo, l’Orchestra della Svizzera Italiana e il giovane uzbeko Aziz Shokhakimov, che aprono con gli squilli militari della Sinfonia n.100 di Haydn e chiudono con la Nona di Šostakóvič.
Ventisette anni, già vincitore di concorsi stellari dopo essere cresciuto musicalmente tra San Francisco, Philadelphia e l’Accademia di Francoforte, Waarts esprime tutta la sua emozione per il debutto nel Canton Ticino. «La Svizzera è uno dei miei paesi preferiti e non vedo l’ora di lavorare con un’orchestra di lingua italiana, capace di riflettere la luminosa bellezza di questi luoghi adagiati fra colline e bordi d’acqua». Nativo di Fremont, in California, ha iniziato a interessarsi al violino a cinque anni insieme al fratello gemello, ma insieme alla musica, durante il liceo, ha continuato a coltivare un’altra sua grande passione: la matematica.
Stephen Waarts, fra i tuoi trentacinque concerti che hai in repertorio e suoni a memoria, stavolta la scelta è caduta proprio su Mozart, un classico fra i più universalmente amati.
Sì, resto sempre stupefatto dalla genialità di Mozart, ogni volta che lo suono trovo molti aspetti sorprendenti. L’ho adorato sin da bambino e mi ha sempre accompagnato durante tutta la mia carriera da solista. Per di più il K 218 è gioioso, ha un taglio squisitamente operistico e questo lo rende ancor più attrattivo.
Può essere complicato, in realtà, accostarsi a un autore universalmente diffuso e suonato come Mozart…
Sì, soprattutto per alcuni brani. In questo Concerto ad esempio ci vuole un’assoluta purezza di fraseggio e intonazione, oltre a una chiarezza di idee che ti faccia cambiare velocemente lo stato d’animo, mentre suoni. Il paragone potrà sembrare irriverente, ma devi essere un po’ come un cane che trotterella per la strada e si interessa di tutto ciò che incontra.
Come si riesce a dare nuova vita a certi brani, eseguiti decine e decine di volte?
Con Mozart non è difficile. Se si sfogliano i libretti d’opera e le sue lettere si vede subito che il suo mondo non era poi tanto diverso dal nostro, sembra di leggere cose che potrebbero essere avvenute ieri. L’importante è non sentirsi ostacolati da certi cliché interpretativi, ma neppure sentire in anticipo l’obbligo di evitarli. Comunque fra tutti i compositori, Mozart è il mio idolo: la sua musica è divina, ma al tempo stesso carica di umanità.
Nell’ambiente musicale ti sei fatto notare anche per alcune scelte di autori poco conosciuti, al fianco dei più noti…
In realtà, se suoni con un’orchestra i suggerimenti arrivano dal direttore o dai teatri stessi, ma nei recital mi piace esplorare tutta la vastità del repertorio (quello principale è circa il 90%). Però prima di suonare qualcosa dal vivo, mi preparo con molto anticipo. Ho sempre bisogno di un periodo di rodaggio che può durare lunghi mesi o persino anni di lavorazione.
Da ragazzo hai vinto molti concorsi, ma la svolta vera sembra essere arrivata dopo il concorso di Bruxelles, nel 2015. È così?
Su questo credo di essere stato fortunato, in quanto l’affermazione sporadica nei concorsi precedenti mi ha permesso di adattarmi gradualmente alla professione, concedendo più tempo e spazio allo sviluppo della mia personalità. Non posso dire che sia stato tutto facile, ma anche il sostegno dei colleghi è stato utile. Tra l’altro, molti di loro mi hanno parlato benissimo di Shokakimov, con cui suonerò ad Ascona. Finora ci siamo mancati e adesso finalmente riusciamo a fare qualcosa insieme.
Come hai in programma di regolare gli ingaggi nei prossimi anni?
Farò qualche altro bel debutto con orchestre fra l’Europa e gli Stati Uniti, ma preferisco prendere le cose come vengono, con molta libertà. Credo che la mia ‘ambizione’ sia semplicemente quella di continuare a conoscere un pubblico più ampio e fare in modo che gli altri conoscano me.