Danza, matematica e isomalt, combinazione da scoprire in ‘Fermati al limite’, domenica 24 settembre al Teatro San Materno di Ascona
Non è la curiosità di capire come si possa danzare sullo zucchero trasparente, quello che si usa per le decorazioni delle torte, azione che già di suo produce curiosità. È l’avversione verso la matematica che ci ha spinti a incontrare Bianca Berger, giovane locarnese di nascita che a Copenhagen ha iniziato a studiare danza contemporanea e sempre nella capitale danese ha completato il Bachelor in danza e coreografia. In mezzo, un anno di formazione a Reggio Emilia e, parallelamente, l’Università di Bologna. Facoltà di matematica, appunto.
Dal 2019 al 2022, in ambito scolastico, Bianca Berger, classe 1998, ha preso parte come danzatrice alle produzioni di Samuel Feldhandler, Manon Siv, Renan Martins e Matija Ferlin, in quelle di Jernej Bizjak (Up-And-Down) e di Michele Rizzo (Field Interlace). Collabora con il documentarista Ömer Sami per vari progetti e ha preso parte a uno stage con Rauel Gualtero a Barcellona. Domenica 24 settembre alle 17, al Teatro San Materno di Ascona, porta il suo incontro tra danza e numeri intitolato ‘Fermati al limite’. «Se la tua avversione potessi risolverla con questo spettacolo – ci dice – allora sarebbe bello. Diciamo che la sua visione potrebbe aprire uno sguardo nuovo sulla matematica, almeno sul modo diverso da quello con il quale vi si può approcciare a scuola».
Bianca Berger, vado con la domanda scontata: cosa c’entra mai la matematica con la danza?
È ovviamente una questione di punti di vista. Per quel che mi riguarda, la matematica mi offre ha un certo linguaggio e una certa logica che io applico in primis alla coreografia, alla struttura, e poi alla danza. Un altro elemento che hanno in comune, volendo andare oltre il mero atto di prendere una calcolatrice e fare dei calcoli, è ciò che capita quando con la matematica si arriva a un certo livello, ovvero quando è richiesto un processo creativo per arrivare al risultato. La danza, certo, è quanto di più vario vi sia; la matematica è ovviamente più strutturata.
Fattivamente, come ci viene mostrata nello spettacolo?
Eccezion fatta per alcuni interventi video, non viene mostrata, né vi è la pretesa di insegnarla. La matematica è stata per me uno strumento coreografico e di drammaturgia. Se entriamo in un mondo ideale, guardare la mia performance dall’inizio alla fine è un passare dal teorema, la prima parte, alla dimostrazione, la seconda, che è una traduzione in danza di quest’ultima.
Come si inserisce, invece, l’isolmalt?
Dalla mia curiosità di capire come la danza si modifichi dentro di me in base ai materiali indossati. Un vestito più morbido mi porta a danzare in un certo modo, uno più rigido mi chiama altri movimenti. Ho cominciato a rompere l’isolmalt, ad ascoltarne il rumore, a viverne l’esperienza tattile. Improvvisando, ho sviluppato tre qualità di movimento che rappresentano fratture diverse del materiale. Poi, con la matematica l’ho messo in ordine. Un altro aspetto interessante è il suono, curato da Jacobe Suissa, che mi ha seguita in questa esperienza.
Da Locarno a Copenhagen: come mai la Danimarca?
Cercavo una scuola, ho fatto delle audizioni e mi hanno presa. Mi sono innamorata della città. Dopo Reggio Emilia, dove sono stata chiamata, sono subito tornata a Copenhagen. La sensazione non è spiegabile, ogni posto in cui vado mi dà sensazioni positive o neutre e Copenhagen è un posto tranquillo. Mi trovavo bene con la gente, ci tenevo a perfezionarmi lì e così è stato.
Qual è la tua idea di danza?
Spiegare in poche parole è difficile. La danza cui sono interessata parte da aspetti somatici, di sensazione, è meno legata alla forma in sé. Non parte da forme, per creare, piuttosto da sensazioni. Solo in un secondo tempo faccio caso all’estetica. Molto, inoltre, è interpretazione. La danza contemporanea, comunque, apre discorsi molto, molto ampi.
Quali sono i tuoi punti di riferimento?
Se devo dire di qualcuno che abbia avuto tanta influenza su di me, allora dico la mia insegnante a Copenhagen, Shai Faran (danzatrice, insegnante e coreografa israeliana, ndr), per il suo analizzare accuratamente tutti i movimenti che il corpo può fare: li inserisce in un sistema e grazie a queste sezioni si può accedere all’improvvisazione, allo stabilire le diverse combinazioni…
… ecco la matematica, di nuovo…
Non è esplicitamente matematica, ma diagrammi. Shai è la persona alla quale mi ispiro. Apprezzo moltissimo anche un coreografo con il quale ho lavorato, Michele Rizzo; non mi ispiro a lui a livello coreografico, ma mi piace molto il modo in cui si rapporta al lavoro. Ma devo dire che tanti di quelli della mia scuola mi hanno influenzato, e continuano a influenzarmi.
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