Ospite di Endorfine, il direttore e vicedirettore di Novella Bella promette una pagina su Lugano. Da Arbore a ‘Paola’, a colloquio con l'artista
“Pronto, buongiorno signor Arbore, sono un mio ammiratore. Al 3 chiudo”. “Buongiorno signor Arbore, non la trovo. Provo stanotte alle 3”. Chissà se nella sua casa piena di cimeli musicali, Renzo Arbore conserva ancora le registrazioni della segreteria telefonica sulla quale un giovane comico siciliano, alla fine degli anni 70, tentava di farsi scritturare a colpi di surrealismo. «Ma non gliel’ho mai chiesto apertamente, passavo da strade diverse, da messaggi originali», che il comico in questione oggi definisce «una sintesi di poche parole e follia, mista a contenuto», più o meno la sua cifra stilistica.
Di come Arbore si fosse divertito e lo avesse voluto con sé in radio prima e a ‘Quelli della notte’ poi, Nino Frassica dirà di lì a poco anche al pubblico di Endorfine, nell’ora e mezza abbondante di buonissimo umore di sabato scorso. Ma si è riso anche nell’intervista concessaci poco prima dell’evento al PalaCongressi. «Mi sta dicendo che le mancherà il tavolo di Fazio? Non si preoccupi, ci sarà! Sul Nove, ma ci sarà. È lo stesso tavolo, le stesse sedie, lo stesso falegname, le stesse misure. Forse anche gli stessi personaggi, le stesse battute, tutte uguali, Anzi, saranno repliche». E prima di affrontare il palco di Endorfine, promette una pagina di Novella Bella (rivista della quale, si sa, è direttore e vicedirettore) dedicata a Lugano.
Il tavolo serale Rai della domenica sera è salvo, e con esso il flusso di sublimi stupidate che conducevano al lunedì mattina, guidate da Fabio Fazio. Salva è pure quell’area protetta d’improvvisazione tipicamente arboriana di cui Frassica è uno degli animali che ancora popolano la riserva e il presentatore, fresco di addio alla tv di Stato, la spalla perfetta, nei tempi e nei modi creati da uno dei maestri della televisione. «Fazio arboreggia, lo dice sinceramente, riconosce in Arbore l’inventore della nuova televisione», dice Frassica. «Non a caso, seduti al tavolo con lui ci siamo io e Maurizio Ferrini (con Fazio nelle vesti della Signora Coriandoli, con Arbore nei panni del rappresentante di pedalò, ndr) che a ‘Quelli della notte’ facevamo il dibattito. C’è anche Francesco Paolantoni, che arriva da ‘Indietro Tutta’. Tre arboriani da sempre a ruota libera.
«L’improvvisazione – anche questo, con altre parole, Frassica lo ripeterà poco dopo rispondendo alle domande del pubblico – a volte non è solo improvvisazione, è anche andare a cercare nel repertorio, è ricorrere a qualcosa che in quel momento ‘ci sta’ e che detto in quella circostanza farà ridere. È un’attività molto geometrica: ti agganci a quanto detto da un collega, rilanci con qualcosa di tuo, di creato al momento o, appunto, che viene dal tuo bagaglio personale. È una cosa che presuppone velocità e lucidità mentale». Come in ‘Indietro tutta’, lui e Arbore a convincere Massimo Troisi di essere Rossano Brazzi, uno degli sketch che hanno fatto la storia della televisione, momento d’improvvisazione pressoché jazzistica: «Lì non c’era una riga di copione, c’era solo l’idea. Ognuno aveva il suo ruolo: Massimo Troisi doveva semplicemente dire di sì sapendo di non essere Rossano Brazzi, io e Arbore dovevamo costringerlo ad ammetterlo. È bello quel pezzo, perché aveva il contenuto: anche di fronte all’evidenza, conta soltanto ciò che dice la televisione».
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Con ‘Paola’
Nino Frassica, professione “showgirl” (così a Sergio Savoia, che modera l’incontro, ma così pure a Marco Travaglio, ve n’è divertente replica in rete) è al PalaCongressi con al seguito ‘Paola’, suo nono libro (“Io dico che è il decimo, perché è più orecchiabile”, dice in sala), un romanzo in cui è solo la forma della comicità a cambiare, perché la resa è la stessa dei vari ‘Sani Gesualdi’ e del ‘Manovale del bravo presentatore’, pubblicati negli anni ’80, libri che cavalcarono l’onda del successo televisivo, fino a ‘Vipp’, 2021, passando per la sua autobiografia (“70% vera, 80% falsa”).
L’Endorfine delle ‘Connessioni’ contempla Frassica come elemento connettivo generazionale, o intergenerazionale, inteso come uno che fa ridere dagli zero ai cent’anni. Così il connettore ci spiega la connessione: «Io faccio due mestieri. Il primo, che è composto da altri due mestieri, è l’autore e il comico; l’altro è l’attore, un lavoro che non prevede obbligatoriamente che io reciti testi scritti da me. In quel caso, interpreto ruoli che altri hanno scritto. Facendo il Frassica di questa sera, per esempio, quindi il comico, ho un certo tipo di pubblico; quando faccio l’attore, e penso alla fortunata serie di Don Matteo, che è molto popolare, acquisto un altro tipo di pubblico. Ma anche quando in Don Matteo faccio il maresciallo (Nino Cecchini, ndr) inserisco cose imparate nel varietà. Mi sposo con due generi».
Nel 1985, a un orario improponibile per la televisione del tempo, il grande pubblico s’innamorava di frate Antonino da Scasazza, il cui linguaggio produceva storpiature, assonanze e neologismi, cambiando a suo modo il lessico della comicità italiana. In sala a Lugano, Frassica, dice che il più bel complimento ricevuto è venuto dai giocatori di poker, “gente che se c’è un terremoto dice ‘prima finiamo ‘sta mano e poi scappiamo’”, categoria che quando il frate appariva in tv fermava la partita, e quando finiva di parlare riprendeva a giocare. Frassica ricorda anche di quando non lo facevano entrare al Premio regia televisiva di Giardini Naxos, a un tiro di schioppo da casa, e quando l’anno, dopo ‘Quelli della notte’, fuori il teatro la gente gridava “Nino! Nino!”. E ricorda di quando, nel 1976, studente al Piccolo di Milano, s’incantava davanti ai nomi dei grandi dello spettacolo che scorrevano sullo schermo luminoso, gente del calibro di Giuseppe Pambieri e Ugo Pagliai, che a Scasazza sarebbe diventato Uco Pagliaro. Bella soddisfazione quella del 1990, quando la tournée lo avrebbe portato, ormai famoso, proprio al Piccolo: “Magari non vi interessa, ma mi sono messo a vedere il mio nome passare”.
Col tempo, il lessico di frate Antonino è diventato quello di Nino Frassica. Anzi, frate Antonino da Scasazza è ora solamente Nino Frassica, in quella sovrapposizione, in quell’universalità che è propria dei grandi. È con questa riflessione che chiudiamo con lui in camerino: «Quella di fare le cose senza cambiare è sempre stata la mia ambizione. Io voglio essere io, che sia vestito da frate o da bravo presentatore. Cambia il vestito ma non cambia la comicità». È quello che accade alla maschera, «una parolona» alla quale tende. Cita Stanlio e Ollio – «Facevano i pompieri, i camerieri, i cuochi» –, cita Benigni e Troisi. Cita Totò: «Lui è l’esempio più chiaro: a volte era ladro, quasi sempre, altre volte onorevole. Le situazioni cambiavano e il personaggio rimaneva lo stesso. È quello che ho sempre voluto fare». È quello che Nino fa.
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Sabato scorso a Lugano