Più che di quelli d'Italia, il suo è l’inno degli italiani all’estero. Ma chi ha venduto 100 milioni di dischi, e scritto per Celentano, ha sempre ragione
Per gli amanti del Premio Tenco è stato l’Anticristo; per quelli dell’Eurovision è stato per 21 anni il baluardo della canzone italiana grazie all’inno europeista ‘Insieme: 1992’, che fece di lui il vincitore intermedio tra la casta Gigliola Cinquetti di ‘Non ho l’età’ e quegli screanzati dei Måneskin con ‘Zitti e buoni’. Per il Festival di Sanremo, invece, è stato il Festival stesso, vinto una volta sola (‘Solo noi’, 1980) e poi eternamente secondo. Toto Cutugno ha terminato ieri i suoi giorni musicali terreni al San Raffaele di Milano. Lascia un popolo di cutugnani, alcuni anche imprevedibili, e il ritratto personale di un Paese che tra ‘Figli’, ‘Mamme’, ‘Amori’, ‘Emozioni’, ‘Serenate’ e altro sentimento, ha avuto momenti di melodica poesia.
“Simbolo della melodia italiana all’estero”, titola non a caso l’agenzia; “Il cantautore italiano amato in tutto il mondo”, titola il quotidiano, con l’estero e il mondo sempre in allegato, merito di una canzone – ‘L’italiano’, appunto – che forse è più il manifesto degli italiani lontani dall’Italia che quello degli italiani d’Italia, ma che un manifesto comunque è. “Grazie a Dio che Adriano non l’ha fatta, io ci ho girato il mondo”, disse Cutugno in tv non troppo tempo fa. ‘L’italiano’ era destinata a Celentano, era stata Mina a suggerire a Cutugno di portargli le sue canzoni, perché sembravano cucite addosso, e Mina è persona dotata di un certo orecchio, si sa. Ancora oggi, sulle cose più ritmiche di Cutugno basta chiudere gli occhi e ti appare il Molleggiato.
“Lasciatelo cantare, anche da lassù. Perché è stato un italiano vero”. È bella la sinistra italiana quando scende tra la gente citando Cutugno come fosse Kierkegaard, usando concetti come “per quelli della nostra generazione è la scomparsa di una delle colonne sonore del nostro Paese”. La citazione (“un italiano vero”) di Matteo Renzi è la stessa della premier Giorgia Meloni, in quell’improvvisa convergenza ideologica sinistra-destra che la morte sempre genera, soprattutto quando a morire è l’artista popolare, citabile senza ricorrere al ghost writer. Renzi, facendo sfoggio di cultura pop, cita “quel capolavoro che è ‘Il tempo se ne va’”, e lo dice “da padre”. Scrive bene il leader di Italia Viva, forza politica il cui titolo pare una canzone di Cutugno: ‘Il tempo se ne va’ è realmente una grande canzone, capace d’intercettare lo smarrimento di un padre di fronte alla figlia 14enne che non si sente più bambina, smarrimento che sta tutto in una sola frase, “si cresce in fretta alla tua età, non me ne sono accorto prima”. Scrive bene Renzi, non fosse che il testo è di Cristiano Minellono e Claudia Mori, e Cutugno – da par suo, con conclamato gusto melodico da alta classifica – scrisse solo la musica.
“Ho votato Berlusconi per tanto tempo, poi ho votato anche Renzi”, disse un giorno Cutugno a Repubblica, dimostrando una certa coerenza. In quell’intervista del 2019, al Toto nazionale veniva chiesto di commentare la fatwa del parlamento ucraino, che lo aveva accusato di essere un agente di sostegno della guerra russa in Ucraina. “Nel ’90 – rispondeva il cantante – ho scritto una canzone che parlava dell’Europa unita, io amo l’Europa, questo è il mio messaggio a tutti i Paesi europei per risolvere tutti i problemi”. Insomma, per uno il cui messaggio più rivoluzionario, a parte ‘Insieme: 1992’, è stato ‘Voglio andare a vivere in campagna’, era davvero troppo. Erano i giorni della messa al bando di Al Bano, finito anch’egli nella lista nera dei nemici dell’unità nazionale ucraina. A chi lo accusava di essere un putiniano, Cutugno rispondeva: “L’ho incontrato una volta sola, per uno show al Cremlino. A fine concerto è venuto da noi, mi ha stretto la mano e mi ha fatto i complimenti. E per questo posso essere definito ‘putiniano’?”. E a chi gli contestava il Coro dell’Armata Rossa a Sanremo, lui scagionava la Rai: “Me lo sono pagato di tasca mia”.
Toto Cutugno, che ancora oggi qualche sito d’informazione chiama ‘Cotugno’, non è stato amatissimo, e senza scomodare il suo esordio negli Albatros, nel brano abortista ‘Volo Az 504’ (“Potevo lasciarti avere il bambino ma… ti rendi conto, cosa sarebbe successo?”). Durante una puntata della ‘Domenica In’ da lui condotta, Mia Martini gli disse in faccia quello che pensava di lui. La Rete regala anche un battibecco Toto Cutugno-Mario Luzzatto Fegiz, un affresco dello scarso affetto della critica musicale verso il cantante.
Che da italiani ci si ritrovi o meno ne ‘L’italiano’, un paio di certezze esistono: quelli che hanno venduto cento milioni di dischi nel mondo hanno sempre ragione, a partire dal fatto che cento milioni di dischi non sono cento milioni di visualizzazioni. Anche chi ha scritto per Celentano ha sempre ragione. Vale anche per chi ha scritto per Mina. Quanto agli italiani che si fossero sentiti ‘caricaturizzati’ da quella canzone, un po’ come quei napoletani che non amano essere accostati a Mario Merola, su ‘L’italiano’ potrebbero cambiare idea con il Gabbani vestito da astronauta, sul palco dell’Ariston nel 2020 a rievocare, di quel brano, la forza emotiva, patriottica e finanche cantautorale che ne fanno, se non proprio quella principale, almeno l’altra faccia della degregoriana “Italia sulla Luna”.
Keystone
Sanremo, anno 2013