La dipartita è stata annunciata dalla figlia Ginevra. Nuti aveva 68 anni ed era malato da tempo
Chissà cosa sognava Francesco Nuti, quando sognava, nei lunghi anni in cui un destino atroce e capriccioso lo ha tenuto lontano dal suo mondo e dalla vita reale. Probabilmente sognava splendide storie, grandi amori, quelle commedie giocose e acri per cui era diventato un beniamino del pubblico e che oggi ci passano davanti agli occhi mentre lo salutiamo per l’ultima volta. La sua è stata l’esistenza naturale del “fool” shakespeariano, non tracotante come Falstaff, semmai simile ad Ariel nella “Tempesta”, il fedele servo di Prospero che sa vedere oltre l’apparenza e condurre gli spettatori nel territorio del sogno.
Eppure Francesco Nuti, che se ne è andato stamane a 68 anni in una clinica romana così lontana da quella Firenze in cui era nato il 17 maggio del 1955, è stato anche un mago, come Prospero: toccava le storie e i personaggi e li trasformava a sua immagine e somiglianza, creando una strana magia empatica per cui generazioni diverse si sono rispecchiate in quel Francesco detto “il Toscano” che poi si sarebbe nascosto dietro altri pseudonimi: Romeo, Caruso, Willy, Lorenzo, Dado, Pinocchio.
Che l’incontro con il suo conterraneo Collodi e il burattino discolo fosse da sempre un punto d’arrivo nei sogni di Francesco Nuti era chiaro fin dall’inizio: purtroppo quando i due si incontrarono davvero (OcchioPinocchio, 1994) l’attore-regista era già preda del demone autodistruttivo, tra alcol e depressione, che avrebbe segnato il suo declino e il film resta ancor oggi una grande opera incompiuta in cui solo a tratto balugina il suo talento irregolare e ribelle.
Ma prima ci sono titoli memorabili (all’inizio condivisi con Maurizio Ponzi alla regia), da Madonna che silenzio c’è stasera (1982) a Io, Chiara e lo Scuro (1983), da Son contento (1983) fino a Casablanca Casablanca che nel 1985 lo promuove a regista di se stesso in un seguito ideale di Io, Chiara e lo Scuro. E’ il suo momento d’oro in cui coniuga con leggerezza e inventiva tutte le doti messe in mostra fin da ragazzino e poi in teatro e tv al fianco di Alessandro Benvenuti e Athina Cenci nel gruppo dei Giancattivi con cui aveva conosciuto la popolarità in No Stop (grande fucina televisiva di talenti firmata da Enzo Trapani con il talent scout Bruno Voglino) e l’esordio al cinema con Ad ovest di Paperino (1981).
Nella sua età felice Francesco Nuti è un one-man-band capace di generare dolcezza, incanto poetico, satira e romanticismo in un solo mix irripetibile, portando sullo schermo una “toscanità" ruspante che coincideva con la scoperta del "regionalismo” da parte della commedia italiana. Nonostante gli altalenanti successi successivi, il suo talento si disperse lentamente dopo la metà degli anni ’80, prima in un’ossessiva ricerca di diversificare se stesso (Tutta colpa del paradiso, 1985, Caruso Pascoski di padre polacco, 1988, Willy Signori e vengo da lontano, 1989) e poi alla rincorsa del tempo perduto (Il signor Quindicipalle, 1998). Lo abbiamo visto per l’ultima volta sullo schermo nel 2005, attore in Concorso di colpa, poliziesco troppo poco visto di Claudio Fragasso.
A quel punto l’appuntamento col destino è già dietro l’angolo: sempre meno presente a se stesso, l’anno dopo cade dalle scale di casa e il trauma cranico è gravissimo. Entrerà in un tunnel di faticosa rieducazione, ricadute, tiepide speranze che non gli consentirà più di riprendersi la scena anche se gli amici della giovinezza non smetteranno di stargli vicino, il fratello Giovanni lo aiuterà a scrivere una biografia molto personale (Sono un bravo ragazzo - Andata, caduta e ritorno, 2011, Rizzoli) e si moltiplicheranno spettacoli e monologhi di cui è l’indiretto protagonista.
In una toccante intervista la figlia Ginevra (avuta con Anna Maria Malipero) dirà: “Francesco è e sarà sempre il mio papà anche se non può più parlare, muovere le mani e camminare ed è giusto che mi occupi di lui”. E così è stato fino all’ultimo giorno.
Francesco Nuti ha attraversato il cinema come una luminosa meteora, sempre inclassificabile tra passione per il biliardo - grande co-rotagonista dei suoi film migliori in coppia col campione Marcello Lotti -, la musica (ha calcato il palco di Sanremo e la sua discografia fa da controcanto alle sue regie), gli amori e le delusioni private.
Ci lascia in eredità 10 film e 15 titoli da attore, un pugno di premi (l’ultimo dei quali alla memoria di Vincenzo Crocitti gli è stato consegnato nel 2019) e troppi sogni ancora da realizzare.
La sua parabola assomiglia a quella di un altro sfortunato talento come è stato Rino Gaetano a cui lo legava una strana assonanza caratteriale e una radice calabrese che, per parte di madre, Francesco affiancava allo spiritaccio toscano del Mugello da cui veniva suo padre. Così oggi per lui viene voglia di dire: Francesco, il cielo è sempre più blu: quello è il tuo posto.