Il regista italiano mette sul fuoco molta saporita carne, peccato che in parte si bruci e un’altra resti cruda. Epico Takeshi Kitano, che omaggia Kurosawa
Un vento freddo e nuvole minacciose di pioggia ritornano sulla Croisette, percorsa da mille e più trolley che, sferracchiando con la strada, vanno verso la stazione e i parcheggi, affaticati già da dieci giorni del festival più intenso del mondo. Qualcuno forse non vedrà gli ultimi film in Concorso e fuori, ma migliaia di altri film sono passati sui tanti schermi in giro per la città e dintorni, e nei privati uffici.
Intanto in Concorso è arrivato ‘Il Sol dell’avvenire’ di Nanni Moretti, un film che in Italia ha già fatto discutere e che qui è stato accolto da fragorosi applausi. Il fatto è che Moretti qui è di casa ed è al suo decimo film in competizione, un record difficile da eguagliare. Tutto era cominciato con i giovani studenti contestatori di ‘Ecce Bombo’ del 1978, suo primo film in Selezione Ufficiale, e qui Moretti ha vinto con ‘La stanza del figlio’, Palma d'oro nel 2001, dopo aver vinto il premio per la miglior regia nel 1994 con ‘Caro diario’. A Cannes lo amano per il suo amaro disincanto verso quell’essere umano che sempre sembra deluderlo. Peccato che stavolta l’universalità del suo dire si perda in un retorico gioco di memorie divise tra Storia e Cinema. Ancora una volta lui è sé stesso; unica grande differenza è il passaggio che ha avuto dalla mitica Vespa al monopattino elettrico, più legato all’io cittadino che alla possibilità di una gita fuori città. Ed è questo un segnale importante sull’idea del film. Un film politico, degno di quella che in Italia viene chiamata “sinistra da ZTL”, un film che riflette sui fatti d’Ungheria del 1956, la rivolta ungherese per staccarsi dal blocco sovietico, la conseguente guerra civile con i contrari e la dura repressione di Mosca, che spense la rivolta, andando incontro all’allontanamento dal bolscevismo di tanta parte dei comunisti occidentali.
Moretti legge quel momento di frattura a modo suo. In quei giorni, un circo ungherese arriva nella periferia romana chiamato dalla sezione del Partito Comunista di quel luogo; gli artisti e le maestranze, visto quello che succedeva in Ungheria, decidono di non fare lo spettacolo; uno sciopero, per dare un segnale ai loro connazionali in lotta e mettere in seria difficoltà l’ortodosso presidente di sezione, diviso tra la linea pro sovietica di Togliatti e il dissenso interno di altri dirigenti favorevoli alla condanna di Mosca. Nello stesso tempo, questa frattura si riflette sulla sua storia d’amore. Questa è la vicenda che Giovanni il regista vuole raccontare nel suo film, ovvero nel film che vorrebbe girare se non fosse per le difficoltà a produrlo; si rifiuta di cedere ai tagli chiestigli da Netflix e il suo produttore fallisce, come egli stesso vede fallire il suo matrimonio. Lo stesso trova il tempo di fare la morale sul linguaggio cinematografico con un povero collega più giovane, interrompendogli le riprese del film.
Cinema nel cinema, finzione senza realtà con il peso politico a scombinare le carte, soprattutto se oggi si fanno paragoni con la situazione Ucraina. Ma il film è stato scritto prima della guerra a Kiev, e chiaramente non è solo una distanza temporale quella che divide le due situazioni. Moretti mette sul fuoco molta saporita carne, peccato che in parte si bruci e un’altra resti cruda.
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Il cast de ‘La Passion de Dodin Bouffant’
Il paragone gastronomico risulta per noi facile grazie al secondo film in competizione, il convincente ‘La Passion de Dodin Bouffant’ del regista franco-vietnamita Hùng Tran Anh, che qui a Cannes si era fatto conoscere con il suo primo lungometraggio ‘Mùi đu đủ xanh’ (Il profumo della papaya verde), vincitore della Camera d'Or nel 1993. Il regista e sceneggiatore ha adattato il romanzo di Marcel Rouff ‘La Vie et la Passion de Dodin-Bouffant, gourmet’, scegliendo – a differenza del libro, che racconta la storia dopo la morte di Eugenie – di mostrare quel che era successo prima della morte della cuoca impareggiabile, gli ultimi mesi del suo lavoro ventennale per il famoso gourmet Dodin, nel suo castello, nella sua immensa cucina. Un rapporto che con il tempo aveva aggiunto al piacere gastronomico una relazione romantica: lui voleva sposarla, lei non voleva rinunciare alla sua libertà, come in cucina dove ognuno aveva i suoi compiti.
Hùng Tran Anh, con sapienza non comune, ci porta all’interno di un viaggio di sapori ed emozioni culinarie, raro e intenso. Mai si è avuto paura in un film che una salsa bruciasse, che la cottura non fosse perfetta, mai che un vino non fosse adeguato. Il regista è stato aiutato da due interpreti d’eccezione come Juliette Binoche e Benoît Magimel: lei al cibo prelibato si era già avvicinata nel 2000 con ‘Chocolat’, lui è di impressionante bravura, ma tutto il cast del film, ambientato nella Francia di campagna nel 1885, è splendido. Il film è un malinconico canto alla vita, un invito al piacere di viverla, uno schiaffo ai microonde, ed è un privilegio raro poterlo vedere ed emozionarsi guardandolo.
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Takeshi Kitano
Fuori Concorso l’atteso ‘Kubi’ di un Takeshi Kitano che omaggia il cinema di samurai del maestro Akira Kurosawa senza rinunciare al suo umorismo. Di più: si concede una parte buffa con il suo avatar Beat Takeshi. Siamo nel XVI secolo, quando i signori della guerra rivali combattevano per il controllo del Giappone. ‘Kubi’, nome nativo di Tokyo, ha riportato in vita Oda Nobunaga e Hashiba Hideyoshi, due figure storiche di quel Giappone. E il risultato è un film di grande potenza visuale e insieme una riflessione sul destino degli uomini, sul loro anche morire per il potere, sul loro anche creare caste per dominare. Un film in cui il popolo, eterno tradito e testimone, assurge al ruolo di protagonista con la sua villania, con la sua sporcizia, con la sua capacità di rinascere. Un film epico, violento e audace, tutto com’è Takeshi Kitano.