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Quel viandante filosofo sceso a patti con le sconfitte

Domenica a ‘Storie’ il toccante documentario di Paolo Vandoni ‘Walter l'Americano’: ritratto di un emigrante ticinese tornato alle origini

Walter Togni a Biarritz
23 marzo 2023
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«Se te pò mia vinc, alora perd adasi!». C’è un momento, nel documentario ‘Walter l’Americano’, in cui il protagonista, Walter Togni, si contrae in se stesso, non guarda né l’interlocutore, né la camera, e stringendo gli occhi pronuncia la frase che meglio di ogni altra lo rappresenta: «Se non puoi vincere, allora perdi adagio». Un’esortazione alla vita, in fondo; a quello stile di sopravvivenza da lui perfezionato durante oltre 50 anni di peregrinazioni fra Stati Uniti ed Europa. Stile che altro non è se non una riqualifica della sconfitta, che da fallimento diventa strumento formativo, valorizzante, cardine filosofico di crescita.

Il valore della scoperta

‘Walter l’Americano’ è il titolo del documentario che Paolo Vandoni, regista di Minusio, ha realizzato per “Storie” (prodotto da Michael Beltrami) e che passerà domenica prossima, 26 marzo, dalle 20.40, su Rsi La1. Probabilmente il suo miglior lavoro, dobbiamo aggiungere, e che segna una tappa fondamentale in un chiaro percorso di affinamento stilistico. La “condanna” del regista è, per indole, quella di andare a pescare personaggi e/o situazioni posti ai margini, quindi di per sé coriacei e poco permeabili rispetto al mondo esterno; la sua benedizione è il saperli raccontare senza giudicare, al di là delle convenzioni, inquadrandone l’essenza e restituendone il valore più intimo.

Quello di Walter è ben descritto da Gianmario Togni, cugino artista di Verzasca, il parente prossimo più stretto, anche per affinità, cui Walter si è appoggiato dopo essere emigrato definitivamente a Tenero da quell’America in cui nel ’53, a King City, era venuto al mondo, figlio di emigrati ticinesi (la mamma da Gudo, il papà da Gordola). Ha parlato infatti Gianmario di «mio cugino bohémien e giramondo, poliglotta che, snobbato l’italiano (lingua di una minoranza) parla inglese, tedesco, olandese, spagnolo, francese, fiammingo, turco e, in una certa misura, anche l’arabo. Oltre al dialetto verzaschese del tempo che fu». Con Walter, ha proseguito Gianmario, «puoi parlare di numeri, di storia, di musica, di cavalli, di poker, biliardo, di vecchi film americani, di letteratura, di…», lasciando volutamente scorrere la fontana della conoscenza cui Walter continua, instancabile, ad abbeverarsi. Proprio da un precedente documentario su Gianmario, ‘Elephantonius’ (pure passato a “Storie”) è nato lo “spin-off” su Walter, allora soltanto assaggiato in occasione di un casuale e prorompente viaggio in Ticino: una storia fra le storie, come soltanto poeti e bari sanno raccontare.

Più il percorso della mèta

Di viaggi, soprattutto interiori, parla questo film, cui Walter consegna idealmente un’aspirazione pratica e venale – far soldi, come vuole l’iconografia americana – ma declinata sotto forma di cammino esistenziale. Così, ricavare l’elisir di eterna giovinezza dal fieno greco, azzeccare la Grande vincita ai cavalli, o rastrellare la Grande Plage di Biarritz per scovare fra i flutti qualche antico tesoro, sono pretesti per indagare fobie, rigenerare vecchi dolori e, soprattutto, interrogarsi sulla vita.

Colpiscono, in questa ricerca, le immagini del settantenne carponi nella terra, coltivando una speranza; o le chiose trancianti dello stesso protagonista, che da sole risolvono i frammenti composti con rara sensibilità dalla montatrice Natalia Fiorini. In uno, con la bocca ancora piena di “junk food”, Walter parla di “cow-boys” colpiti a tradimento che, nei film, stramazzano sogghignando. Quando aggiunge «anch’io spero di morire ridendo», dice molto di sé e della sua intelligenza.

Poi c’è il Walter alcolista, per lunghi anni, da tempo archiviati fino al punto di poterne parlare; il musicista e all’occorrenza “crooner”; quello che regredisce alla tragedia di un insanabile lutto familiare; quello dell’infanzia, ticinese fra i messicani, come loro dimenticato e costretto a dimenticare le origini; quello fatalista, che non rimpiange il passato perché «da giovani è più difficile essere felici». Tutti colpi d’occhio d’autore, estrapolati come perle da un mare di girato.

Bob Dylan e l’arcobaleno di Judy Garland

Nella ricerca di un senso che è senso essa stessa emerge infine una colonna sonora potente e a tratti commovente: Frank Sinatra, Richard Ale, Bob Dylan, Jimmie Davis, John Denver, Bobby Darin nell’indimenticabile ‘Beyond the Sea’, fino a ‘Over the Rainbow’ di Judy Garland, su una delle immagini più poetiche del documentario. Senza dimenticare gli estemporanei momenti musicali di Walter medesimo, per ritrovare parole e musica di un’indomita vita errante. Nella cui strettoia finale, un giorno, ti fermi. E sorridendo lo puoi dire: «Se non trovi le cose nel tuo giardino, forse non vale nemmeno la pena di cercarle». Bentornato a casa, Walter l’Americano.