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Lugano applaude Massimo Ranieri, ’o cantante ’nnammurato

La canzone del soldato non è in scaletta, ma gliela canta il Lac (cronaca dell’impeccabile show di un signore del palcoscenico)

Venerdì scorso in ‘Tutti i sogni ancora in volo’
(Ti-Press)
20 marzo 2023
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Il primo ‘Forza Napoli’ arriva su ‘Rose rosse per te’, il secondo su ‘Erba di casa mia’, uno nel primo e l’altro nel secondo tempo, come nel calcio. Poco prima del recupero (i bis), il concerto filato via tra l’amore e il sogno finisce nell’insieme dei due sentimenti: “Sogno ancora uno scudetto”, dice l’artista.

Il prologo non deve ingannare. Di calcio non si è quasi mai parlato nella data luganese di ‘Tutti i sogni ancora in volo’, titolo/modus vivendi nel quale Massimo Ranieri fa coincidere un tour, una canzone (‘Perdere l’amore’, dalla quale il verso è tratto), un libro autobiografico e un disco di rara bellezza, che si chiamano tutti allo stesso modo. Il disco è uscito a fine 2022, è stato prodotto da Gino Vannelli e per Ranieri hanno scritto quelli che in Italia sanno scrivere meglio, Ivano Fossati e Pacifico inclusi.

La scenografia rende la Sala Teatro del Lac un po’ Carnegie Hall (tempio del jazz di New York, spesso sede di happening musicali orgogliosamente italofoni) e un po’ ‘Sogno e son desto’ (uno dei tanti show Rai del sabato sera, con il Nostro a far da mattatore). A Lugano, Ranieri si divide tra pop e tradizione, jazz e chanson française, non dovendo fare altro che intrattenere, in quanto nulla è richiesto in più ai grandi come lui. Dosa estratti dal nuovo disco equamente divisi tra la prima e la seconda parte di serata (‘Lasciami dove ti pare’, ‘Di me di te’, o il Sangiorgi di ‘È davvero così strano’) e sempre tra il lato A e il lato B del suo spettacolo semina alcuni capitoli di storia personale che ascoltati dal vivo, da lui che è l’originale, riparano l’usura del tempo e della tv, che si nutre di evergreen a ogni cambio di canale. E quindi lunga vita, di nuovo, a ‘Vent’anni’ (1971) e ‘Se bruciasse la città’ (1969).

Nella prima parte c’era il suddetto Fossati, che nel nuovo disco ha scritto per lui ‘Dopo il deserto’; nella seconda il suddetto Pacifico, che gli ha regalato un piccolo capolavoro intimista intitolato ‘Questo io sono’. A entrambi, Ranieri rende onore e altrettanto fanno con lui le canzoni. Il napoletano torna dopo la pausa ancor più in voce con ‘Quando l’amore diventa poesia’, a Sanremo 1969 condivisa con Orietta Berti, qui in un sei ottavi che è pane per gli assoli della band. Dal jazz si torna alla canzone purissima, quella di ‘Lettera di là dal mare’, il Sanremo pescatore di perle: di quella canzone di un anno fa, solo l’ascolto dal vivo rende l’idea della difficoltà, e a Lugano, assai più che all’Ariston, Ranieri è semplicemente perfetto.

Da chansonnier a chansonnier

Quello di Massimo Ranieri è un concerto senza tempo e non solo per il repertorio. È senza tempo perché non c’è il gobbo sul quale scorrono i testi e nemmeno il suggeritore nella buca che lancia la battuta, cosa giusta per un uomo di musica e di teatro quale Ranieri è (il doppio ringraziamento a Giorgio Strehler, che un bel dì lo volle a recitare Brecht cambiandogli la vita, qualcosa dice).

Diciamo dei tributi. Quello al Modugno di ‘Resta cu’ mme’, con aneddoto annesso, la censura di “nun ’me ’mporta d’o passato / nun me ‘mporta e chi t’ha avuto”, mutato in “Nu’ me ’mporta si ’o passato / sulo lagreme m’ha dato” perché “una donna all’epoca non poteva avere avuto un’altra storia”, dice Ranieri. L’altro tributo è all’amico e chansonnier per eccellenza Charles Aznavour e alla sua ‘Quel che si dice’, o ‘Comme ils disent’ nella versione francese, brano che nel 1972 affrontava il tabù dell’omosessualità (“Che colpa posso avere se / madre natura fa di me / un uomo o quel che si dice?”): l’ultimo fotogramma di orgogliosa diversità, in una canzone resa spettacolo a sé (spot bianco dall’alto, sparato sul protagonista), è il prologo a ‘Perdere l’amore’, ovazione pre-bis.

Si riapre il sipario e il tributo è a Carosone (‘Tu vuo’ fà l’americano’). ‘’O surdato ’nnammurato’ non è in scaletta, ma gliela canta il pubblico prima di ‘Anema e core’, caposaldo della tradizione messo da Ranieri tra le perle di ‘Malìa’, il primo di due suoi album jazz usciti tra il 2015 e il 2016, nei quali è condensata la canzone napoletana, quella sulla quale è costruita metà di tutta l’orecchiabilità delle nostre vite, volenti o nolenti, da nord a sud. E pure nel mezzo.


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Massimo Ranieri

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