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Com’è umana lei, cara Mazzamauro

Tutto l’affetto per Villaggio e per la signorina Silvani al Sociale il 20 gennaio: ‘Tutte le pernacchie della commedia di oggi non fanno un solo Fantozzi’

Anna Mazzamauro a Bellinzona in ‘Com’è umano lei, caro Fantozzi’, con Sasà Massarese e... Paolo Villaggio
18 gennaio 2023
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«Premetto. Il pubblico di Bellinzona potrebbe pensare che sia un monologo. Si sa che mi piace dominare la scena, godermi fino all’ultimo pezzo di legno di un palcoscenico. Questo invece è uno spettacolo con scene, costumi, musica dal vivo, canzoni e Paolo Villaggio. Non perché io rinneghi i monologhi. La solitudine la vivo in tutti i sensi, anche nella vita. Ma non è solitudine, è amare di essere soli».

Il Sociale l’ha già applaudita più volte. Nel 2005 in ‘Nannarella’, dedicato ad Anna Magnani, o in ‘Nuda e cruda’, nel 2016, quando così lanciava quello spettacolo: "Voglio rassicurare gli spettatori: sarò più cruda che nuda". Un carico di autoironia è atteso anche venerdì 20 gennaio alle 20.45: in ‘Com’è ancora umano lei, caro Fantozzi’ (ticketcorner.ch, InfoPoint Bellinzona), Anna Mazzamauro porta in scena sé stessa prima, e poi quella signorina Silvani che Villaggio, insieme a lei, ha reso eterna. In scena va anche parte dell’epopea di Fantozzi, personaggio universale.

Anna Mazzamauro, la domanda d’obbligo: lei e la signorina Silvani andate d’accordo? O meglio: è in pace con quel personaggio e, indirettamente, col ragionier Ugo?

Il fatto stesso che lei mi stia intervistando perché porto da voi uno spettacolo intitolato ‘Come è ancora umano lei, caro Fantozzi’, significa che sono ancora satura di lui. Ma mentre prima detestavo la doppia zeta di Fantozzi, che non riuscivo a trasformare nella doppia zeta di Mazzamauro, ora che ci sono riuscita sto nascendo di nuovo al seguito di Paolo Villaggio e della sua genialità. Perché, me lo lasci dire, essere geniale non significa essere un genio. ‘Geniale’ un aggettivo che conforta in un epoca in cui i geni non abbondano. Mi sto affezionando di nuovo non solo a Paolo, ma anche alla signorina Silvani che, siamo onesti, mi ha dato l’opportunità di essere riconoscibile per strada e riconosciuta professionalmente.

Senza la signorina Silvani, quale pensa sarebbe stata la sua carriera?

Senza di lei avrei continuato per almeno un paio di centinaia d’anni a fare teatro, che non dà la riconoscibilità. Parlo per me: il teatro non dà nulla di più che la gioia di farlo, percepita nel momento in cui si fa. Il teatro è un’arte che non ha antefatti, né dopolavoro, le emozioni sono quelle del momento. Certo, le emozioni grandi dell’applauso, che io vorrei sempre fosse infinito. A proposito: ricordo un pubblico strepitoso anni fa a Bellinzona, cosa che mi meravigliò perché il nord, fortunatamente direi, ha sempre un’attesa giusta e saggia prima di applaudire, di sorridere e poi ridere. E invece, l’ultima volta mi è sembrato di essere a Napoli. Il rapporto fu strepitoso, e io sono convinta che si ripeterà anche quest’anno.

Entriamo nel merito dello spettacolo?

In scena siamo in tre: io, il musicista Sasà Calabrese e Paolo Villaggio, ricordato con amore e nostalgia per quel tipo di cinema, confrontati come siamo alle pernacchie di quello odierno. In un angolo del palcoscenico, c’è una piccola scrivania sulla quale, ben rilegati, stanno quattro racconti scritti da Paolo, che ogni tanto leggo. E c’è il suo basco blu, che come attrice, donna ed ‘ex amante’ trovo commovente. Quello che ho scritto non è uno spettacolo soltanto comico, così come Villaggio non era soltanto comico.

Ha detto ‘ex amante’…

Credo di essere l’amante vivente di Fantozzi e che soltanto attraverso di me possa realizzarsi un racconto preciso, fatto di aneddoti, di un set che diventa vivo. Sono la sua ex amante dal punto di vista letterario, cinematografico e di sceneggiatura, ma anche come Anna che ha debuttato nel cinema con lui.

Il suo ruolo in ‘Fantozzi’ si deve a Villaggio ma anche – indirettamente – a Fellini: le andrebbe di raccontarci come?

Dopo aver girato ‘Roma’, Fellini presentò il film alla società di doppiaggio per la quale al tempo lavoravo. Ho sempre trovato il doppiaggio svantaggioso, perché mi dà fastidio prestare la mia voce ad altri: che facciano da soli! (ride, ndr). Mi venne chiesto di doppiare una persona molto anziana e Fellini, dall’altra parte del vetro, mi disse (imitando il regista, ndr): "Signora, provi a fare questa vecchia..."; risposi che l’avrei fatto, ma che la mia voce sarebbe risultata inevitabilmente troppo giovane; lui insistette: "La provi, la prego"; io riprovai, tentando di adeguarmi alla fisicità della signora, invano. E Fellini: "Senta, signora Mezzamauro, diciamo che lei non è capace"; io mi voltai verso il vetro e gli risposi: "Senta, dottor Felloni: diciamo che lei ha in famiglia una persona molto più anziana di me che sicuramente sarà in grado di doppiare questa signora!" (riferita a Giulietta Masina, ndr). Poi, il come da qui io si arrivata a Fantozzi lo lascio allo spettacolo…

Se Fantozzi avesse avuto un altro titolo, forse si avrebbe maggior contezza della coralità del film. Di fianco al ragioniere si muovono grandi attori non protagonisti che, in fondo, lo sono. Ha parlato di ‘pernacchie’: è la nostalgia di un tale livello artistico?

Sento grande nostalgia di Paolo Villaggio, di Lucano Salce e di tanti altri colleghi strepitosi. Sento grande nostalgia dei film fatti con l’intento di essere importanti. L’intento, non la certezza, perché nel cinema e nel teatro nessuno può essere mai sicuro del successo. Queste pernacchie sono in totale contrapposizione al modo di fare la commedia cosiddetta ‘all’italiana’, che a quel tempo era commedia sì, divertente sì, ma con arguzia e intelligenza. Non ho paura di dirlo: ultimamente sono stata costretta – da me stessa, perché pagavano bene – a fare film come ‘Poveri ma ricchi’. In ‘Fantozzi’ invece, non badando alla paga perché ero ancora molto giovane, volevo assistere a questa messa strepitosa che diventava racconto perpetuo. Speravamo tutti che i nostri personaggi sarebbero rimasti nella storia, è così è stato. Queste pernacchie dell’odierno cinema all’italiana, messe tutte insieme non fanno un solo film di Paolo.

Lei è sempre stata schietta, anche nel libro della figlia Elisabetta, ‘Fantozzi dietro le quinte’ (Baldini e Castoldi): "Ho amato più Fantozzi che Villaggio". È anche questa la riconciliazione di cui parlava all’inizio?

Non è un mio pettegolezzo. Paolo era un po’ algido nei rapporti, tutti lo sanno. Ai tempi dei primi ‘Fantozzi’ aveva le sue ragioni, forse non poteva dare confidenza a tutti noi che eravamo agli inizi. La sua cultura gli conferiva un certo snobismo che mi dava un po’ fastidio. Una volta gli chiesi: "Paolo, perché dopo tanti anni – pur volendoci bene professionalmente, pur nella simpatia di quando giriamo – nella vita non siamo mai diventati amici?". Guardandomi negli occhi, mi rispose: "Perché io frequento solo attori ricchi e famosi". Al tempo ero rispettosa delle opinioni altrui, lasciai cadere; oggi non sarebbe andata così.

Paolo ha sempre preso in giro la Silvani per la sua atipicità fisica, e allo stesso tempo prendeva in giro anche me. Poi un giorno veniamo invitati nel salotto di Barbara D’Urso: prima della trasmissione, Paolo era sulla sedia a rotelle spinta dal figlio, io avanzavo dall’altra parte del corridoio, ben vestita, ben pettinata, ben truccata; sono arrivata fino a lui, che mi ha preso le mani e mi ha detto, senza sarcasmo: "Come sei bella". Ecco, in quell’occasione mi sono riconciliata definitivamente con lui.