Tutte le strade portano sempre a ‘Gloria’, alla quale il ‘Gloria Forever Tour’ è dedicato: canti di gruppo e, alla fine, Palacongressi in piedi
Tira un moccolo silenzioso il cameriere della Pizzeria Il cantinone. "Ma certo! È la sera del grande Umberto!", e capisce di essersi scordato di cambiare il turno; ci offriamo di prendere noi le ordinazioni, che tanto l’Umberto l’abbiamo visto così tante volte che ormai non è più un concerto, è un pellegrinaggio. Ma gestire una sala è un’arte e ci vuole un artista. Come sul palco.
Lugano, Palacongressi, uno di quei posti in cui alcune persone emettono dei suoni da strumenti opportunamente concepiti e che uniti tra loro producono gradevolissime sensazioni fisiche; le sensazioni possono diventare gradevolissimissime laddove accompagnate dal canto e dalla poesia (il pensiero potrà risultare opinabile, ma "Apri la porta a un guerriero di carta igienica", a modo suo, è poesia). Si chiamano ‘canzoni’ e Umberto Tozzi – settant’anni, da Torino – ha una certa collaudata dimestichezza con la categoria degli inni, tutti innescati come detonatori, dosati nello spettacolo come farebbe una ditta di fuochi d’artificio, fino all’ordigno conclusivo.
È la festa di ‘Gloria’, che dà il titolo al ‘Gloria Forever Tour’. L’Umberto che si è da poco tolto di torno un tumore è in voce e può snocciolare – a partire da ‘Notte rosa’ – la consueta impressionante serie di hit. Da un po’ di tempo a questa parte i brani dei concerti quelli sono, ma anche cambiando l’ordine dei successi il prodotto non cambia. E dunque su ‘Gente di mare’ la gente di lago va, su ‘Gli altri siamo noi’ si sente noi e gli altri, e su ‘Io camminerò’ cammina. Lungo il viaggio, l’Umberto si mette in modalità serenata – voce, sedia e chitarra acustica –, e una volta datosi del privilegiato per aver vissuto una irripetibile generazione di artigiani della canzone, rende omaggio a Simon & Garfunkel con ‘The Sound Of Silence’ e a Lucio Battisti ("Il più grande di tutti") con ‘I giardini di marzo’, e al Palacongressi si sta come di notte in riva al mare davanti al falò. "Cantala pure da sola", risponde alla fan che chiede ‘Zingaro’ (1978, dall’album ‘Tu’): "È orribile. Ho fatto anche canzoni molto brutte", dice; e chi siamo noi per rispondergli che a noi invece piace. E dunque tributa se stesso in ‘Donna amante mia’ e ‘Perdendo Anna’.
Conclusa la funzione religiosa ‘Si può dare di più’, nella bella versione alternativa, seguono altre belle cose fino a ‘Io muoio di te’, anno 1994 di un Festivalbar vinto, sulla quale anche l’educata Lugano comincia a preparare l’invasione di campo. È qui che il pellegrinaggio, da alcuni anni, diventa nevrosi: ma come diavolo (eufemismo) avrà fatto l’Umberto a concepire ’ste cose che tutti cantano? Al millesimo ascolto di ‘Tu’, una combinazione melodico-armonica da montagne russe, l’idea è che il "dan, dabadan, dabadan" sia cavalcata di evidente ispirazione wagneriana. Fine della nevrosi; meglio cantare.
Qualunque sia l’ordine delle canzoni, al concerto dell’Umberto tutte le strade portano sempre a ‘Gloria’, un bagno che l’educata Lugano si concede sotto il palco battezzata dall’artista, prodigo di plettri della sua chitarra lanciati come riso sul sagrato. Poi tutti – lui e i bravi musicisti – si mettono in fila per il rito dell’inchino. "Ma il bis?", si chiede qualcuno in sala quando tutto è finito. Un bis dopo ‘Gloria’? Dopo quello che è successo? Non basterebbe Jovanotti.