Nella seconda giornata della Mostra, emozionano l’austriaco ‘Vera’, l’italiano ‘Princess’. Canta la realtà nel giapponese ‘Stonewalling’
Una bella giornata di film che parlano di donne in un Lido in cui l’unica frase è "non l’ho visto", riferendosi ai film che diventano impossibili da vedere perché internet racconta di proiezioni esaurite e poi in una sala da 350 posti trovi solo 50 spettatori, e altre proiezioni mostrano larghi vuoti. Nessuna paura, la Mostra come multisala vale veramente poco, al limite dell’indecenza. Una collega greca è stata sul computer sette ore senza riuscire a prenotare, piangeva. Ma a chi importa, è il festival dei lustrini, non dei film e di chi ama il Cinema.
Intanto abbiamo avuto la fortuna di un fruttuoso itinerario tra le sale dove abbiamo incontrato tre film di buon livello: attenti a mostrare diversi modi di valorizzazione del ruolo femminile. L’austriaco ‘Vera’ di Tizza Covi e Rainer Frimmel; l’italiano ‘Princess’ di Roberto De Paolis e il giapponese ‘Stonewalling’ di Huang Ji e Ryuji Otsuka.
Protagonista di ‘Vera’ è Vera Gemma, figlia del famoso attore Giuliano Gemma. C’è, nel ritrarla in questa docu-fiction, una grande e amorevole delicatezza da parte di due registi sensibili come Tizza Covi e Rainer Frimmel. Tizza Covi (1971, Bolzano) e Rainer Frimmel (1971, Vienna) lavorano insieme dal 1996 e hanno infilato una bella collana di premi in tutto il mondo, tra i pochi a poter vantare allori a Cannes, Berlino, Locarno e Venezia. Il loro cinema non trascende mai dal valore documentario-documento e anche qui si resta sorpresi per come raccontano di una figlia d’arte che a 52 anni conta – insieme a tanti bei progetti – anche la frequentazione di isole dei famosi e altro. Quello che risalta è la tenera umanità di una donna continuamente alla ricerca di se stessa. Capace di sopportare anche le offese, anche il peso degli anni, anche la stupidità degli uomini, una donna capace di amare e di darsi per amore. Un film toccante ed emozionante.
Emozione che scorre anche in ‘Princess’ di Roberto De Paolis, autore di un film scritto da lui insieme ad alcune ragazze nigeriane, vere vittime di tratta, che poi hanno interpretato sé stesse nel film. Girato nelle periferie romane il film mostra senza riserve il mondo in cui queste ragazze vengono a trovarsi, il destino di chi usa il suo corpo e non sa più dominarlo. Straordinaria la scena in cui la giovane protagonista, appena trovato un bagliore d’amore puro, fa la pipì a letto e vergognandosi ritorna a prostituirsi. È un film sincero che regala dignità a chi è abituato a venderla per sopravvivere quotidianamente. È anche uno sguardo sulla povertà maschile di chi cerca sesso pagando, ma ancor più ridicolo è l’atteggiamento della legge assente, un atto di condanna verso un Paese, l’Italia, che ha completamente rinunciato a risolvere problemi importanti come la prostituzione e la droga, come mostra chiaramente il film fotografando la realtà di un mondo non più parallelo.
Una giovane donna è invece la protagonista di ‘Stonewalling’ firmato dai coniugi cinesi Huang Ji e Ryuji Otsuka. Lei, Huang Ji, spiega il film così: «Quando nostra figlia aveva cinque anni, ci faceva spesso una domanda: "Mamma, papà, perché mi avete messo al mondo?". E mi sono tornate in mente mia madre e la mia infanzia. Mia madre era un’ostetrica e spesso mi portava in sala operatoria per assistere a parti o aborti. Da quando la "politica del figlio unico" è stata trasformata nella "politica dei due figli", le donne cinesi hanno più possibilità di scelta per quanto riguarda la maternità. Tuttavia, il numero di aborti non è diminuito. Perché le donne non hanno deciso di tenere i loro bambini? Sono diventate più insensibili alla gravidanza rispetto al passato? Abbiamo scritto la storia della gestazione di una giovane donna, impiegando dieci mesi di riprese. Volevamo esplorare questa insensibilità durante la realizzazione del film. In quello stesso momento, elaboravamo lentamente il futuro di mia figlia». E il film è la lunga passione di questa ragazza che sogna futuri e vede con spavento il fatto di essere stata incinta di un uomo che non prova neppure a starle vicino. Da sola decide che non avrà quella bambina, ma non riuscendo ad abortire la cederà subito dopo la sua nascita a un’altra famiglia. Il film è di grande tensione intorno a lei, i suoi genitori litigano violentemente e mostrano come la loro vita sia improntata al guadagno, lei con l’inseparabile telefonino in mano giorno e notte, progetta di studiare l’inglese e di diventare hostess e le dà enorme fastidio sentire i piedini della nascitura nel suo ventre. Il film non la colpevolizza, la mostra nel suo essere normale, anche nello scegliere di vivere per sé, negandosi la pesante possibilità di essere madre. Questo è Cinema che canta la realtà.