Il mare tempestoso come metafora e allegoria della vita. L’opera dell’autore britannico Benjamin Britten è di scena al Teatro la Fenice di Venezia
"Chi potrà riportare i cieli indietro per ricominciare da zero?", canta Peter Grimes. E noi comprendiamo la sua umanità profonda, che diventa specchio della nostra, anche nell’annunciato fallimento: destino che tutta l’umanità accomuna.
Ecco il ‘Peter Grimes’ di Benjamin Britten, in questi giorni in scena nell’incantevole Teatro la Fenice di Venezia, prima opera maggiore del grande maestro inglese, è dramma fatale sul destino dell’uomo. Uno spettacolo stretto parente del teatro greco antico, dove fato, uomini e natura, confondono le loro trame.
Innanzitutto, le date: ‘Peter Grimes’ viene presentato il 7 giugno 1945 in una Londra distrutta dai bombardamenti nazisti, la guerra ufficialmente era finita nel teatro europeo l’8 maggio, Britten aveva composto l’opera negli Stati Uniti, nel 1944, dove era esule dal 1941, anno in cui aveva lasciato l’Inghilterra, per protesta contro la guerra. Era un convinto pacifista e per giunta omosessuale. E questo pesò al suo rientro in patria dove nessuno voleva perdonarlo, e a molto gli servì allora l’appoggio incondizionato della Regina Madre.
Il ‘Peter Grimes’ protagonista dell’opera è un uomo che per le sue azioni viene posto al di fuori della comunità, condannato non dalla legge, ma dalla volontà popolare, che si trova solo in una solitudine che ha come obbligata uscita il suicidio. Grimes (convincente, seppur più attore che cantante, il tenore Andrew Staples) è un pescatore del Borgo, un villaggio costiero del Suffolk, e Britten ce lo presenta, in un intenso prologo davanti a un tribunale dove deve rispondere della morte di un mozzo durante una pesca finita male per colpa di un uragano. È assolto dal giudice ma non dagli abitanti del villaggio che lo accusano di essere violento e brutale nei confronti dei ragazzi che assume. Con lui restano Ellen (l’interessante soprano Emma Bell), una giovane maestra vedova, che lo ama riamata, e Balstrode (un convincente Mark S. Doss), un vecchio comandante di marina che comprende la fatica di un uomo che cerca di avere un futuro lavorando duramente.
Succede che l’ormai isolato Grimes riesca ad avere un nuovo mozzo e che lo maltratti con la disapprovazione di Ellen che si allontana da lui. Disgraziatamente il mozzo muore, senza responsabilità di Grimes, ma tutti ritenendolo colpevole lo vanno a cercare per punirlo. Lui – solo e disperato – prende la barca e lontano dalla costa la affonda, nell’indifferenza degli abitanti del villaggio.
Britten compone un’opera complessa dando grande spazio al mare, alle tempeste, al rincorrersi incessante delle onde: sono brani di grande intensità, che lo stesso autore presentò anche indipendentemente dall’opera, con cinque Interludi e una Passacaglia. Momenti che raccontano e che immergono l’ascoltatore in quel mondo che vive con il mare, e allora la solitudine di Grimes si alza sulla pochezza borghese di pescatori che affogano il loro vivere nel gin e nelle puttane, che svendono la loro bieca normalità in nome di moralità inventate. C’è in Britten il disprezzo verso questo popolo-coro stolto che canta vecchie canzoni da bettola, che segue un tamburo che batte vendetta contro chi non accetta di essere "normale". Non è difficile vederlo come Grimes e non è un caso che il primo interprete dell’opera sia stato il tenore Peter Pears, il suo compagno-amante.
L’opera è stupenda e ancora sorprende per la qualità musicale che il direttore Juraj Valčuha alla guida dell’Orchestra della Fenice sa ben mostrare, e lo spettacolo composto figurativamente dal regista Paul Curran è di quelli da ricordare. Lunghi applausi meritati.