Spettacoli

Eurovision, provaci ancora Marius

Marius Bear è un talento che va preservato. E ‘Boys Do Cry’ non ha colpe. Anzi

Diciassettesimo
(Keystone)
16 maggio 2022
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Si può dire quel che si vuole di Marius Bear, della sua canzone e della scelta svizzera di consegnargli il destino della Confederazione all’Eurovision Song Contest. Un evento che, è vero, è solo un concorso canoro, non una campagna militare, ma pur sempre un momento topico dell’intrattenimento. Si può dire quel che si vuole di ‘Boys Do Cry’, canzone in gara elogiata dagli addetti ai lavori, da fior d’autori, arrangiatori e orchestratori, ma affossata dal televoto. ‘Boys Do Cry’, per quel che ci riguarda, ha una sola colpa: a cantarla è un emergente. E non conta che il brano sia in lingua inglese (nel 2014 Sebalter era anglofono). ‘Boys Do Cry’ ha semplicemente avuto il destino di molte grandi canzoni, magari diventate grandi dopo. E il destino è che a volte funzionano e a volte no. E non sapremo mai il perché.

Il verdetto del televoto però – zero punti, cosa accaduta lo scorso anno alla Gran Bretagna, ma con un brano artisticamente impresentabile – deve far riflettere. E per quanto ci abbiamo riflettuto, non ci viene in mente altro che questo: potrebbe, il buio scenografico nel quale è stato immerso Marius, avergli giocato contro? Potrebbero, l’ammiccare qua e là alla telecamera, il trucco un tantino pesante e quel cuore proiettato sul viso (che in fotografia pare un errore di stampa) avere influito sulla spontaneità dell’intera operazione? Oppure il mondo sonoro di Salvador Sobral che nel 2017, per il Portogallo, vinse a sorpresa a Kiev cantando ‘Amar Pelos Dois’, canzone jazzata, è già preistoria?

Nel percorso di avvicinamento a Torino, radio scarpa (o ‘voci di corridoio’, anche ‘rumors’) parlava di certezza che un italofono avrebbe fatto al caso nostro; la certezza è diventata un semplice auspicio; l’auspicio si è poi perso al confine. Si è passati anche per Tananai, ultimo a Sanremo, ma era una boutade (per fortuna). Alla fine di tutto, se a Torino ha vinto una canzone in lingua ucraina, se terza è una canzone in lingua spagnola, se quinto è un mantra in serbo, reso comprensibile da un semplice battito di mani, perché mai un italofono ci avrebbe potuto aiutare?

Marius Bear è un talento che va preservato. Ha la gentilezza del musicista e l’innata dote di chi suona anche per gli altri. Ha 29 anni, col cappellino di traverso pare un bimbo di 15, quando canta pare un uomo di 40, e a Torino ha cantato come uno di 40, da navigato crooner, e padrone della scena. E se di belle voci è pieno il mondo, di artisti completi no. Quando si sarà messo dietro le spalle lo sconforto per gli ‘Zero points’ di sabato, Marius potrà ricominciare dal suo valore, voce e chitarra come Ed Sheeran, e come quelli che non necessitano di scenografia per emozionare e, non di meno, emozionarsi.