Con la Svizzera, si qualificano Armenia, Islanda, Lituania, Portogallo, Norvegia, Grecia, Ucraina, Moldavia e Paesi Bassi.
Non sono in ordine di punteggio ottenuto, ma sono in finale: Svizzera, Armenia, Islanda, Lituania, Portogallo, Norvegia, Grecia, Ucraina, Moldavia, Paesi Bassi. Sono le dieci nazioni uscite dalla prima semifinale. Si aggiungeranno alle dieci della seconda semifinale in programma giovedì e ai Big Five già qualificati, per contendersi sabato 14 maggio la vittoria dell’Eurovision Song Contest 2022.
Sold out al PalaOlimpico, sold out nella sala stampa ora finalmente multinazionale, sino a ieri ancora troppo hub vaccinale, resa viva dai soli colori norvegesi, con graziose bandierine sui tavoli in perfetto stile ‘Incontro al vertice’. Dal tema del ‘Nessun dorma’ a quello di ‘The Sound of Beauty’, claim dell’Eurovision Song Contest, e con razzi, razzetti, fumi, lanciafiamme e lingue di fuoco l’Europa è tutta a Torino. Mika ricorda l’Eurovision a Napoli nel ’65 d.C. (dopo Cinquetti) e a Roma nel ’91 d.C. (dopo Cutugno); Cattelan ringrazia Rotterdam e indirettamente i Måneskin; Laura Pausini li annuncia per sabato.
Nella prima semifinale aperta dall’Albania con le armoniche rotondità di Ronela Hajati (‘Sekret’), non ce la fanno gli attesi (da noi) Citi Zeni, i lettoni di ‘Eat Your Salad’, inno al green che il cantante decide di autocensurare (la parola era ‘pussy’ e non è un epiteto). Tant’è, l’Eurovision ha perso un grande funk. Vestita e acconciata come Mireille Mathieu, la lituana Monika Liu passa il turno con ‘Sentimentai’. Quel piccolo capolavoro svizzero intitolato ‘Boys Do Cry’ sfila per quarto: nell’intimità che tira all’oscurità (senza razzetti e lanciafiamme dunque), Marius Bear è impeccabile e pericoloso per i deboli di cuore, e lui ne ha uno infranto giusto sulla giacca e sul viso. C’era tanto funk anche negli sloveni LPS, anzi, era ‘Disko’ ma non è bastata. Decisivo l’hip hop misto al folk ucraino, marchio di fabbrica della Kalush Orchestra: ‘Stefania’ è un tormentone colto e gentile che resta al di là della guerra. Fuori dalla gara, malgrado razzi, razzetti e fiamme di fuoco, il rock bulgaro dell’Intelligent Music Project (molto rumore per nulla). S’insinua invece l’Olanda con S10 e la ballad ‘De Diepte’; lo stesso fa il country-folk dei moldavi Zdob si Zdub & Fratii Advahov con ‘Trenuletul’, brano nel quale c’è il succo dell’Eurovision: scatenarsi senza pensare a nulla davanti alla tv o mettersi le mani nei capelli (sempre davanti alla tv).
Per troppa classe, passa il Portogallo di Maro con ‘Saudade, saudade’. Impalpabile la Croazia di Mia Dimsic con ‘Guilty pleasure’, un peccato perdere le danesi Reddi con ‘The Show’, più rockettare di tutti i rockettari del concorso. Dell’Austria con LUM!X ft. Pia Maria, ‘Halo’ è un riempipista che non va oltre la pista. Ci vanno, oltre, l’Islanda con Systur e la romantica ‘Með hækkandi sól’, la Grecia con Amanda Georgiadi Tenfjord e ‘Die together’, la Norvegia dei Subwoolfer di ‘Give that wolf a banana’ (un incrocio tra i Devo e gli Eiffel 65) e l’Armenia con i tormenti e le speranze generazionali di Rosa Linn in ‘Snap’.
Menzione per ‘Fai rumore’, col ritornello cantato dal PalaOlimpico prima e da Diodato poi, graditissimo ospite: un groviglio di corpi gli corre intorno, poi lo spinge verso l’alto e lo riconsegna, insieme al brano, al mondo reale. ‘Fai rumore’ era intrappolata nel Colosseo della pandemia, in un Eurovision per pochi intimi, lo abbiamo scritto ieri. Ora è libera. Forse lo siamo anche noi.