Convincente la versione di Andrea Chiodi del denso ‘Dopo la prova’ con Antonio Ballerio, Mariangela Granelli e Margherita Saltamacchia
"Film, regie teatrali, ma anche mogli amanti e figli… Ormai non li conto più!". Così Ingmar Bergman quando decise di ritirarsi sull’isola di Farö, dove chiuse un’esistenza certo vissuta appieno, arricchita da un clamoroso successo internazionale e scandita altresì da alcune – anche gravi – depressioni. Rifacciamo i conti, almeno quelli ufficiali: cinque moglie e nove tra figli e figlie (una di queste andò in sposa allo scrittore Henning Mankell, il padre dell’ispettore Kurt Wallander). Amanti? Non pervenuto…
Ingmar, un genio dall’animo inquieto che sin dall’adolescenza dovette confrontarsi con scelte impegnative: a 18 anni se ne andò da casa, stufo dei sermoni domestici (e delle punizioni talvolta sadiche) del babbo pastore luterano che voleva trasmettergli quelli che erano – per il genitore – i valori fondamentali dell’esistenza: peccato, confessione, punizione, perdono e grazia. Proprio i temi sui quali, quasi paradossalmente, Bergman incentrò poi parecchi dei suoi capolavori cinematografici (‘Il settimo sigillo’ e ‘Il posto delle fragole’, entrambi firmati nel fecondo 1957), e altre memorabili pellicole che gli valsero ben tre Oscar. Quando aveva già annunciato più volte il proprio ritiro dalle scene, Bergman ritornò su un set, stavolta televisivo, per realizzare ‘Dopo la prova’, lavoro dal cast stellare: Ingrid Thulin, Erland Josephson e Lena Olin. Nella sua riduzione teatrale, ‘Dopo la prova’ è in scena (stasera e domani) al Sociale di Bellinzona. Non è azzardato affermare che si tratta di una summa dagli evidenti tratti autobiografici dettati dalla vita "confusa" di Bergman (tra cinema e teatro, tra il bisogno di Dio e l’ateismo latente, tra mogli abbandonate e poi ricercate), dove pure si mescolano letteratura della memoria, angoscia luterana e analisi freudiana, irrazionalismo nietzchiano, riflessione sul ruolo degli attori e sul teatro.
Un testo denso di spunti, dunque, affidato dal produttore Gianfranco Helbling alle cure del regista Andrea Chiodi, il quale dal canto suo ha diretto sapientemente un bel tris d’attori: Antonio Ballerio veste i panni – grigi e sobri ma molto bergmaniani, disegnati da Ilaria Ariemme – del regista Henrik Vogler, alle prese con la messa in scena de ‘Il sogno’ di Strindberg (autore/mito per Bergman), che guarda caso il drammaturgo stesso definì "un misto di ricordi, esperienze, invenzioni, assurdità e improvvisazioni"; Margherita Saltamacchia è Anna, l’Agnese pensata da Henrik per il suo Sogno strindberghiano; e Mariangela Granelli la Rakel madre della giovane Anna nonché ex fiamma del regista e morta ormai da cinque anni per alcolismo. Si diffonde un’aria da incesto: sarà mica Henrik il papà di Anna? La pièce trascura però l’interrogativo, portandoci invece in una specie di camera pirandelliana dove i tre (ma soprattutto le due donne) gettano la maschera, abbandonandosi a confessioni anche molto forti: "Da quando sono riuscita a odiare mia madre sto molto meglio, ma devo ancora trovare alloggio alle mie urla", confessa Anna. "Sei giovane – ribatte sornione Henrik – e debbo fare pulizia nel tuo giardino, dove però vedo molte rose: un regista deve sistemare il caos interiore degli attori. Posso farlo perché ho piena libertà di spostare una battuta di Strindberg (again, n.d.r.) o cancellarne una di Ibsen se non mi va, mentre nessuno oserebbe toccare le partiture di Mozart!". Dal canto suo, Rakel torna – in sogno, again! – da Henrik, tentando una pietosa mossa di seduzione che il regista rifiuta con una grazia che per la donna è ancor peggio di una feroce pugnalata.
Numerose le citazioni del Bergman cineasta che ritroviamo nella regia di Chiodi: il teatrino di cartapesta col quale dapprima Ballerio giochicchia e dove poi la Saltamacchia cercherà per così dire rifugio fissandolo ostentatamente, ricorda ‘Fanny e Alexander’. Ma, forse soprattutto, il primo piano degli attori sparato da una videocamera sul fondo del palcoscenico: momento topico e immaginiamo impegnativo per i protagonisti così messi a nudo dopo la loro performance, che rimanda agli splendidi primi piani di Liv Ullmann e Bibi Andersson (guarda caso altre due fiamme bergmaniane!) nel film ‘Persona’.
Non c’è tuttavia tempo per alcun rimpianto: è andata così e quel che è fatto è fatto. Ci pensa Domenico Modugno a ricordarcelo con le note di ‘Piove’ e quel suo esplosivo Ciao ciao, bambina! Mille violini suonati dal vento si affiancano agli applausi, sentitissimi, che vanno al felice tridente Saltamacchia, Ballerio, Granelli.