Il francese ‘Chaylla’ di Clara Teper e Paul Pirritano e l’indiano ‘Where is my Home’ di Bhaskar Jyoti Das e Samiran Deka
La settimana a Visions du Réel si apre con immagini che ancora sanno colpire al cuore per la profondità dei temi e per la ricerca di linguaggio che conferma il documentario come indispensabile e insostituibile palestra per chi vuole affrontare il dorato mondo della fiction. Due film in particolare ci hanno indotto a questo pensiero: il francese ‘Chaylla’ di Clara Teper e Paul Pirritano e l’indiano ‘Where is my Home’ di Bhaskar Jyoti Das e Samiran Deka. Due film uniti dalla particolarità di essere firmati entrambi a quattro mani, ma soprattutto da un altro fatto: sono due opere che avrebbero potuto avere un efficace sviluppo drammaturgico di finzione. Il primo racconta della violenza maschile e familiare subita da una madre e dai suoi figli, il secondo di un popolo costretto all’esilio dalla violenza fatta di omicidi e stupri. Il primo sarebbe stato un film intimo, il secondo un film epico. Come documentari invece hanno il vantaggio di sviluppare un sempre più necessario sentimento di rispetto umano.
Difficile è il tema affrontato da Clara Teper e Paul Pirritano: la Chaylla del titolo è una giovane donna e madre che sta lottando per liberarsi da una relazione familiare violenta, con l’impossibile problema che una parte di sé spera ancora di poter condividere la sua vita con il padre dei suoi figli. Ed è questo suo aver paura e aver desiderio, questo pensarsi come madre e come amante, questo dover fare i conti con i più reconditi desideri di una comunione sessuale e con la realtà di essere picchiata, strangolata, offesa da un uomo, il suo, alcolizzato e drogato, indifferente al destino di una famiglia che non si emoziona a sentire sua, ma che vuole suddita. Lei ha un’amica, passata da una storia simile che l’aiuta a uscire da quel cul-de-sac in cui si è infilata. Ed è il tragico incontro con la giustizia, attenta più a difendere i diritti di lui, e le occorre il coraggio per vincere anche l’ideologia machista dello stato. Alla fine si abbandona con l’amica a cantare "Bella ciao": tra pochi mesi, scontato l’allontanamento, lui tornerà a suonare alla sua porta.
Lontano ci portano Bhaskar Jyoti Das e Samiran Deka con il loro commovente ‘Where is my Home’ che ci ha spinto a controllare in tanti siti il loro racconto scoprendo la delicatezza, mai esasperata, del loro dire, di un popolo costretto a emigrare nella propria nazione, come se i luganesi fossero costretti a migrare a Locarno, lasciando le loro case. Questo dopo aver visto le loro donne stuprate e aver perso ogni dignità, da un gruppo di altri luganesi. La cosa è successa a Nayanti, una bambina di 8 anni. Nayanti è fuggita nello stato vicino, Tripura, India, dallo stato di Mizoram, India, con i suoi genitori e altri abitanti del villaggio nel 1997 a causa di uno scontro etnico tra comunità tribali. Ora Nayanti ha passato i trenta e vive in quel campo profughi in cui si era ritrovata perdendo ogni idea della casa in cui viveva, diventata un sogno o forse un incubo. Il film racconta di un popolo sfollato. Un popolo di rifugiati. Anche se è raro essere rifugiati nel proprio Paese. Straordinarie le immagini di bambine e bambine che segnano la prima parte del film coi loro occhi sospesi nelle nubi di un destino che attende, poi, a chiudere il cerchio nel finale, il volto degli anziani, di chi in quei campi di tedio e oppressione hanno perso l’esser bello della vita. C’è nei registi una grande e antica pietà, che concede a questa umanità, tradita da altra non degna umanità, l’onore di essere vissuta, nonostante tutto, nonostante il violento esilio. Giunge alla fine il comando del governo indiano a riportare gli esuli alle loro case ed è struggente il silenzio di chi vorrebbe chiedere in un paesaggio diventato estraneo: "Dov’è la mia casa?". Memorabile film che evita ogni visiva violenza, perché la violenza resta negli occhi e nella mente di chi l’ha vissuta e, mentendosi continuamente, nonostante tutto, continua a vivere. Grande cinema a Nyon.