La guerra in Ucraina un anno prima in ‘Heller Weg’ di Iryna Riabenka. Su un altro livello il doloroso ‘Adult Child’ di Yu-Hsien Lin
Si entra nel vivo del Festival a Nyon e l’invito a perdersi tra le tante produzioni soddisfa la nostra golosità. Certo il documentario ha tanto da raccontare, storia, geografia, pensiero… il documentario qualche volta è anche attualità e riflessione su questa, ecco allora che non ci stupisce ritrovare tra i film l’attualità della guerra e quella ormai duratura della pandemia. Rinunciamo all’idea che un documentario sia depositario di verità; è testimonianza e riflessione sempre filtrata dalla posizione dell’autore o autrice che lo firmano; sotto certi aspetti il documentario è una complessa fiction, capace ideologicamente di essere meno sincera o più strettamente personale. A questo abbiamo pensato vedendo due film alquanto lontani come concezione e territorio: ‘Heller Weg’ di Iryna Riabenka, coproduzione tra Ucraina e Germania, e ‘Adult Child’ del Taiwanese Yu-Hsien Lin, una coproduzione del suo Paese con la Gran Bretagna.
Il primo è una lunga intervista con Stanislav Aseyev, oggi uno dei giornalisti più accreditati nel fronte occidentale anti-russo. Siamo nel 2021, la guerra in Ucraina deve ufficialmente ancora scoppiare, ma Stanislav Aseyev – nato trentadue anni fa a Donetsk, ben conosciuto per il suo romanzo "The Melchior Elephant" (2016) – ha già trascorso un bel periodo nelle carceri russe per la sua attività in nome della libertà dei prigionieri dissidenti ucraini della regione del Donbass. Dal maggio del 2017 in cui viene arrestato, Stanislav verrà incluso in uno scambio di prigionieri nel dicembre 2019. Il film di di Iryna Riabenka segue con passione il racconto dello scrittore e il risultato agghiacciante è la percezione, piena di attualità, di una impossibile soluzione pacifica del conflitto: troppo rancore, rabbia, odio, tutto giustificato e incontestabile, esplode nel dire anti-russo di Aseyev, che oggi gode anche dell’appoggio incondizionato dei senatori statunitensi Bob Menendez e Marco Rubio. Proprio il 14 febbraio 2020, Aseyev aveva incontrato un gruppo di senatori statunitensi presso il suo ufficio di Praga di Radio Liberty per discutere del rilascio dei restanti prigionieri nei territori occupati della regione di Donetsk. Quello che manca al film è un respiro cinematografico, la regista è, giustamente, troppo presa dal soggetto, al punto di rendere monotono il suo, necessario, dire.
Su un altro livello si muove il doloroso ‘Adult Child’ di Yu-Hsien Lin, un film testimonianza di un viaggio d’iniziazione al mondo adulto di cui il regista è protagonista. L’inizio lo spiega egli stesso: "Allo scoppio della pandemia, ero a Londra, ho fatto le valigie e sono tornato nel mio Paese, affrontando 14 giorni di autoisolamento nella città natale di mio padre". Proprio durante questi giorni il regista viene a sapere che la madre ha un cancro terminale. "All’inizio volevo solo documentare questa strana esperienza con la mia fotocamera digitale, poiché pensavo che la pandemia fosse la cosa peggiore che mi potesse capitare nel 2020". Non poteva prevedere che qualcosa di peggio gli era successo. Riesce a stare vicino alla madre negli ultimi giorni, poi il funerale, gli incontri con i parenti, il vuoto incolmabile che opprime. Raccontato in punta di penna il film ha i colori di un invernale autunno e regala intime emozioni e ricordi.
Ci sono altri film che sorprendono per altri motivi, come per esempio ‘Awohali’ (The Eagle) di Dominika Kováčová, che ci apre un panorama inconsueto della Slovacchia accompagnandoci a conoscere Miki, serio lavoratore e capo di una tribù indiana, erede nelle colline slovacche dei fieri nemici di Buffalo Bill. Si tratta di un gruppo di persone che si ritrovano sotto i classici teepee vestiti da indiani con tanto di penne in testa e riti tribali. Una fuga da un mondo troppo grigio, il desiderio di stare nella natura e di sentirsi umani. Non c’è derisione nel film, ma un profondo rispetto per chi ha ancora il coraggio di fuggire.