Un programma all’altezza della fama di Gautier Capuçon quello di martedì scorso al Lac
Il violoncellista Gautier Capuçon, ormai quarantunenne e, dalla sua prima apparizione di vent’anni fa nell’ambito del Progetto Martha Argerich presenza costante ai concerti di Lugano, è tornato martedì scorso con un recital nella grande Sala Teatro del Lac. Lui solo sul palco davanti a una sala quasi completa, l’impossibilità di tenere il concerto in sala di dimensioni più cameristiche, danno la misura della fama giustamente raggiunta dal musicista francese. E il programma offerto era all’altezza della fama: la Prima Suite di Johann Sebastian Bach, composta intorno al 1720, ‘Trois strophes sur le nom de Sacher’ di Henri Dutilleux (1916-2013), composte nel 1982, la grande Sonata per violoncello op. 8 di Zoltán Kodály (1882-1967), datata 1915.
Le sei Suites per violoncello solo, come le tre Sonate e le tre Partite per violino solo, sono pietre miliari nella storia della musica e corrispondono a un momento privilegiato nella vita di Bach, che dal 1717 al 1923 è alla Corte calvinista di Köthen, dove la musica religiosa è poco importante, i servizi domenicali meno vincolanti, deve produrre poche Cantate sacre e può dedicarsi alla musica strumentale. Ai suoi biografi, questo venir meno del compito di predicatore in musica, consente di comprendere meglio la correlazione fra il genio musicale e la sua dimensione umana. Con sole quattro corde e un arco Bach riesce a evocare grandi costruzioni polifoniche, come l’abile disegnatore con pochi tratti di penna riesce a descrivere edifici maestosi.
Delle Suites si sono persi i manoscritti originali. La loro prima edizione a stampa è apparsa a Vienna solo nel 1826, ma l’Ottocento sembra averle ignorate. Finalmente all’inizio del Novecento le partiture arrivano nelle mani del violoncellista Pablo Casals (1876-1973), che le fa scoprire anche al grande pubblico attraverso registrazioni memorabili ancora udibili, addirittura visibili in internet. Dopo Casals arrivano sulla scena tanti grandi violoncellisti. Come veterano delle sale da concerto ho perso il conteggio delle splendide interpretazioni delle Suites ascoltate dal vivo. L’ultima è stata quella di Gautier Capuçon, martedì scorso al Lac.
Nel 1976 il direttore d’orchestra e mecenate Paul Sacher compie settant’anni e il violoncellista Mstislav Rostropovič chiede a dodici compositori di dedicare a Sacher una breve composizione per violoncello. Quella di Dutilleux, ‘Trois strophes sur le nom de Sacher’ è di soli nove minuti, ma di complessa esecuzione e complesso ascolto: esige la scordatura di una corda grave, cita il crittogramma musicale s-a-c-h-e-r, mi bemolle-la-do-si-mi-re. Cita anche un clamoroso esempio di mecenatismo: la Musica per archi, percussioni e celesta che Béla Bartók ha composto nel 1937, nel rifugio di una casa di Sacher a Gstaad. Bravissimo Capuçon nell’assecondare le raffinate scelte dinamiche e timbriche di Dutilleux, sostenuto dal silenzio assordante di un pubblico che respira con lui.
Il terzo brano in programma dura 30 minuti, più dei primi due assieme. Gautier Capuçon avverte il pubblico che la Sonata di Kodály è il brano tecnicamente più difficile di tutto il repertorio per violoncello solo e sorridendo chiede di tenergli il pugno. Supererà brillantemente la prova e il pubblico lo gratificherà di applausi tanto intensi da dover essere placati con un bis. Da un secolo ormai tutti i migliori violoncellisti hanno superato questa prova, anzi si può dire che essa è l’esame virtuosistico per essere tali. Ma cosa offre questa musica all’ascoltatore? L’onomatopea di alcuni strumenti e poco più.
Guardiamo le date: la Sonata è composta nel 1915, quando da un anno è in corso la Grande Guerra. La prima esecuzione ha luogo nel 1918 quando arriva l’influenza spagnola, la peggior pandemia del secolo. Martedì sera il pubblico ha lasciato la Sala Teatro ed è tornato in un mondo ancora afflitto da una pandemia e da una guerra.