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La presenza di Sol Gabetta, un laboratorio musicale al Lac

La violoncellista sarà protagonista del festival di Pentecoste con l’Orchestra della Svizzera italiana, dal 3 al 5 giugno a Lugano

Sol Gabetta e Markus Poschner
(OSI-L. Sangiorgi)
31 maggio 2022
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«Sono molto felice: finalmente arrivo in Ticino con questo progetto!». La violoncellista Sol Gabetta risponde così al "come va?" con cui iniziamo l’intervista telefonica per Presenza, il festival che vedrà Gabetta e l’Orchestra della Svizzera italiana con il suo direttore principale Markus Poschner impegnati dal 3 al 5 giugno con due concerti sinfonici – in programma venerdì alle 19.30 e domenica alle 11 – e alcuni appuntamenti (a entrata libera) di carattere cameristico. Programma dettagliato su www.osi.swiss e www.luganolac.ch.

Questo "festival di Pentecoste", nato da un’idea dell’allora direttrice artistica dell’Osi Denise Fedeli, doveva debuttare nel 2020, poi il rinvio per la pandemia, l’anno scorso una sorta di anteprima senza pubblico: «È stato molto bello, con un concerto che è stato filmato dalla Rsi ma era solo per noi: questo festival per il pubblico non è ancora nato» ci spiega Gabetta, aggiungendo che «fino a poco tempo fa non sapevamo ancora come sarebbero andate le cose, ma per fortuna possiamo cominciare, e con il pubblico».

Il titolo del festival, ‘Presenza’, segna questo ritorno in sala dopo due anni difficili per la musica dal vivo, ma non solo. Sol Gabetta, direttrice artistica del festival oltre che solista, e il curatore Balthazar Soulier hanno infatti deciso – riporta il comunicato – di "mettere in discussione quella ritualità ormai consolidata nei programmi e nei comportamenti del pubblico".

Sol Gabetta, volete sovvertire le convenzioni della musica classica?

Non stiamo provando a rivoluzionare, a introdurre cose completamente nuove. Piuttosto ci sono aspetti più delicati, puntuali, dettagli che di solito non sono presi in considerazione. Per esempio, quando sono tornata a fare concerti, mi sono resa conto che quando si tratta di discutere delle luci, della posizione sul palco o di qualcosa del programma il solista non è mai coinvolto, è un personaggio che arriva per la serata ma non ha la possibilità di "dare un concetto". Eppure spesso è quello che rappresenta di più il concerto, la gente viene a vedere e ascoltare il solista.

Io e Balthazar Soulier non vogliamo fare nulla di radicalmente nuovo, solo vedere il concerto da un altro punto di vista, quello della solista: qual è il mio ruolo in un concerto di musica classica, come posso partecipare, dare il mio contributo?

Ecco, come darà il suo contributo?

Non voglio svelare troppo, ma ad esempio l’anno scorso, quando abbiamo registrato il concerto, per me è stata la prima volta in cui sono stata sul palco dall’inizio alla fine. Di solito il solista arriva e poi, finito di suonare, se ne va e l’orchestra procede con il programma: già questo ha cambiato completamente il modo di intendere il concerto classico e il rapporto tra solista e orchestra. Ho quindi cercato composizioni che avessero delle parti di violoncelli importanti. Ho un po’ preso il ruolo dei violoncellisti dell’orchestra, ma quello che è bello è vedere la collaborazione tra solista, direttore e orchestra dal principio alla fine di tutto il concerto, non solo limitata alla ventina di minuti.

Poi diceva delle luci.

La gente magari non se ne rende conto, ma l’ascolto è molto diverso a seconda della luce: quello che senti dipende da quello che vedi. Una volta ad Amburgo mi è capitato di notare che non si vedeva niente, che il viso non era illuminato bene e mi rendo conto che queste cose mi disturbano molto. Se uno vuole semplicemente sentire la musica, lo può fare a casa scegliendosi il cd che più gli piace. Ma il concerto dal vivo per me deve essere il più eccezionale possibile, non solo per l’esecuzione della musica ma anche per l’aspetto teatrale. Ma di queste cose si dice sempre che non c’è tempo: si riesce con la musica da camera, ma quando c’è l’orchestra non è semplice e quando mi hanno proposto questo progetto a Lugano con un’orchestra ci ho dovuto pensare, per me più che un festival è un laboratorio. Per questo lo abbiamo chiamato ‘Presenza’, perché in qualche modo al centro c’è la presenza dei musicisti e del pubblico. Ma, ripeto, non c’è nulla di rivoluzionario, il pubblico non deve aspettarsi cambiamenti radicali, ma la differenza penso che la si noterà ugualmente.

Nel programma dei concerti vedo molto Ottocento francese:

Sì, quest’anno abbiamo deciso di fare un focus sui concerti per violoncello di Saint-Saëns e Lalo. E per me sarà la prima volta in cui, nella stessa serata, avrò prima il concerto di Lalo e poi quello di Saint-Saëns, appunto per sottolineare la presenza della solista in tutto il concerto.

È un repertorio in cui mi sono impegnata molto: prima c’è stato l’anno di Saint-Saëns (2021 per i cento anni dalla morte, ndr), ci sarà quello di Lalo (2023 per i duecento dalla nascita, ndr), ma soprattutto l’idea di trovare nel repertorio composizioni conosciute ma forse non così conosciute, diciamo un pochino meno valorizzate dal grande pubblico. E questo richiede un interprete che crede nella musica, altrimenti è sempre la stessa cosa e non si riesce a uscire dall’idea che si ha a che fare con un "pezzo minore". Ma è assurdo, un brano può essere forse più o meno complesso, ma non per questo è "minore". Io l’ho visto con il concerto di Martinů, che ho portato in giro per un anno e mezzo: il pubblico all’inizio non capisce per quale ragione lo hai scelto, ma sta anche a noi interpreti far sì che brani "minori" diventino "maggiori", far capire i motivi per cui li abbiamo scelti.

La Francia di Saint-Saëns, Lalo, Bizet e poi un po’ di Russia con Ciajkovskij.

Sì. Questo lavoro di curatela è opera di Balthazar Soulier, ma ci sono molte lettere tra Saint-Saëns e Ciajkovskij, per cui il legame c’è. Un programma, in ogni caso, non si fa da soli: noi proponiamo qualcosa, la prima idea è la nostra, poi arriva Markus Poschner, poi arriva l’orchestra e si vede quello che ognuno vuole suonare.