Il festival di Berlino andrà avanti fino al 20 febbraio, ma con repliche per il pubblico mentre tra poche ore si scopriranno gli Orsi
Su manifesti e programmi, questa Berlinale numero 72 porta scritte le date “10-20 febbraio”. Molti dei giornalisti provenienti dall’estero avevano programmato aereo e hotel su queste date. Il fatto è che il festival di solito finisce con l’annuncio dei premi mentre il palmarès della Berlinale 2022 sarà annunciato oggi, il 16 febbraio, decretando ufficialmente finiti i Giochi. Certo restano quattro giorni con i film proiettati in replica per il pubblico, ma il retroscena di questo programma anomalo deciso a gennaio inoltrato è stato un taglio di molti film già messi in programma, con gli autori che stavano preparando il materiale per il festival. Decine di film si son visti improvvisamente chiudere la porta in faccia, con conseguenze pratiche anche importanti.
Tra i tagliati c’è stato un documentario di Peter Altmann e Cuini Amelio Ortiz, ‘Margarethe von Trotta, Zeitder Frauen’: sarebbe stato per il festival un’occasione importante, visto che Margarethe von Trotta proprio il 21 febbraio compie ottant’anni ed è nata qui a Berlino. Diremo che è stato uno sgarbo imbarazzante, ma altri ancora dei tagli meriterebbero considerazione. Il fatto è che resta incomprensibile a molti l’improvvisa riduzione che ha anche portato all’accavallarsi dei film, stipati in un programma in cui è difficile raccapezzarsi al di là di una linea rossa segnata dalla competizione, rendendo quasi impossibile scoprire altri film. Colpa della pandemia? Era obbligatorio un tampone ogni mattina, lo chiedevano anche quattro volte prima di entrare in sala e la mattina era tutto un guardare il telefonino per vedere il risultato del tampone; se positivo, come successo ad alcuni, il festival era finito, senza appello. Per il resto, al di là dei film è stato un festival senza festival, senza sorrisi, senza feste, con pochissime presenze al di là di sale quasi vuote, le strade e le piazze erano vuote, e ognuno cercava di evitarsi, tutti impauriti dal virus, ormai abituati a fare senza l’altro. Ma il festival è luogo di discussioni, di incontro e confronto, altrimenti basterebbe un link anonimo e un computer per vedersi i film.
Vedersi i film? Proprio l’aver rifrequentato la sala ha regalato anche l’emozione di vedere quello che su un piccolo schermo non si vede, l’inquadratura che sfoca ai lati, i particolari che hanno importanza e che in piccolo sfuggono, e altro ancora, come in una fiera si cerca il meglio e i produttori offrono il meglio del loro lavoro. Intanto prima dell’annuncio dei premi è passato l’ultimo film in Concorso: ‘So-seol-ga-ui yeong-hwa’ (The Novelist’s Film), ventisettesimo lungometraggio del coreano Hong Sangsoo ancora impegnato nel suo prezioso e fine gioco che imbriglia il mondo reale con il cinema, chiamando lo spettatore a essere partecipe ed emozionato protagonista egli stesso. Il regista ci porta nella periferia di Seul in una libreria gestita da una scrittrice (la brava Seo Young-hwa) che ha scelto di smettere di scrivere, a trovarla arriva dalla città la famosa romanziera Junhee (una strepitosa Lee Hyeyoung), l’incontro è venato di acrimonia perché la libraia non aveva commentato l’ultimo libro della scrittrice, lo stesso senso di disagio si ricrea quando Junhee incontra un regista che non ha mai adattato un suo romanzo come invece era stato previsto. Scopriamo però la vera urgenza di Junhee: non pubblica più nulla da tempo e sta mettendo in discussione la sua scrittura. La situazione cambia quando durante una passeggiata nel parco incontra una famosa attrice (una intensa Kim Minhee) anche lei in un periodo di ripensamento; tra le due donne nasce l’idea di fare un film insieme, un film che le porti lontano da quella consuetudine noiosamente quotidiana in cui erano cadute. Fare un film insieme, non sarà di certo un film di popolare intrattenimento, sarà il loro specchio. Delizioso nel suo essere il ritratto duro di un’umanità intellettuale alla deriva, di sicuro grande cinema. Questo di Hong Sangsoo era il 18° film in Concorso, una competizione che si è mostrata in generale di buon livello, Carlo Chatrian sta mostrando di aver preso possesso della nave Berlinale, certo sono mancati i film da Oscar che erano una consuetudine berlinese, ma ritorneranno, perché il cinema d’oltre Atlantico ha ancora bisogno di Berlino, un festival tornato al caldo confine tra Ovest ed Est.