Nel 1972 il festival di Berlino ignorò ‘Die bitteren Tränen der Petra von Kant’; nel 2022 François Ozon celebra quel film con ‘Peter von Kant’
Cinquant’anni fa, era il 1972, il Festival del Film di Berlino presentava ‘Die bitteren Tränen der Petra von Kant’ che l’indimenticabile e geniale Rainer Werner Fassbinder aveva tratto, senza troppo rispettarlo, da un omonimo suo dramma teatrale, un film sulla follia del sentirsi vivo e amare. Quell’anno la Giuria non prese in considerazione il film preferendo come Orso d’Oro ‘I racconti di Canterbury’ di Pier Paolo Pasolini, mentre il premio per la regia andò al dimenticato Jean Pierre Blanc, e quello alle interpretazioni a due mostri sacri come Elizabeth Taylor e Alberto Sordi.
Erano altri tempi che improvvisi sono risorti, proprio qui a Berlino, grazie al film inaugurale, il francese ‘Peter von Kant’ di François Ozon. Film chiaramente e dichiaratamente omaggio a quel Fassbinder che lo ha ispirato: in quello c’era un’affermata stilista, Petra von Kant, che si invaghiva di Karin, una ragazza giovane e bellissima; qui invece incontriamo un affermato regista, Peter von Kant, che si innamora perdutamente di un bellissimo giovane. Ozon ci porta con gran classe nel teatrale gioco in cui le parti si scambiano e i seduttori si trovano sedotti. Suo gran merito innanzitutto è quello di affidarsi a un cast straordinario con un superbo Denis Ménochet inimitabile nella parte del titolo, una recita la sua che è lezione per la profondità in cui entra nel personaggio condendolo proprio dell’essenza fassbinderiana.
Con lui non da meno è una emozionante Isabelle Adjani che con la sua infinita classe colora la parte di un’attrice amica del regista, sua musa ispiratrice per molti anni; impressionante poi la bravura del giovane Stéfan Crépon nella parte del servile, al limite del masochismo, e innamorato assistente del regista. Nel ruolo del giovane fatale il ventenne Khalil Gharbia, ma a sorprendere è la presenza sullo schermo dell’immortale Hanna Schygulla, qui nel ruolo della comprensiva madre del regista, ma nel 1972 con Fassbinder era lei la Karin ragazza fatale che faceva impazzire d’amore la protagonista.
Cinquant’anni dopo è lei il legame di una storia che è cinema e non dimentica mai di esserlo, ed è interessante che Ozon per il finale non si sia ispirato al lieto fine del dramma teatrale ma abbia seguito il maestro tedesco nel tradirlo. Lo sapeva Fassbinder che, dopo tutta la tensione creata sullo schermo, non poteva essere possibile un lieto fine con il servo che resta fedele, meglio uno sputo in faccia al padrone e andarsene con dignità. Ozon ci mostra come un tema simile sia ancora di attualità, la passione, l’amore che diventa ossessivo possesso, l’impossibilità di guardarsi a uno specchio e ripensarsi. C’è tanto cinema in questo film, colto e pieno di citazioni, e c’è ironia nel citare l’omosessualità di Zeffirelli, cosa che sprofonda nel rancore il protagonista.
Un bell’inizio per la Berlinale e il fatto che il film sia in concorso porta già a indicare Denis Ménochet per un meritato premio. Da Petra Kant a Peter Kant, cinquant’anni di Cinema a Berlino. Fuori concorso si è visto un altro film francese, ‘Incroyable mais vrai’ commedia surreale firmata dall’eccentrico e provocatorio Quentin Dupieux che porta un quartetto di bravi attori, Alain Chabat, Léa Drucker, Benoît Magimel e Anaïs Demoustier, a confrontarsi su un buco che regala giovinezza e l’invenzione di un pene meccanico con telecamera incorporata. Tutto per ridere alle spalle di un’umanità ormai persa di fronte alla fatica di essere umani in questo inumano mondo. Si ride e ci ritroviamo riflessi sullo schermo, anche questo è cinema.