Breve storia di un trio chiamato Bronski Beat, di una canzone e di un ragazzo di periferia la cui famiglia non accettò mai il suo essere gay
“Una mattina prendi quello che hai, lo metti dentro una valigia nera e parti. Tua madre non capirà mai il perché, ma le risposte che cerchi non le troverai a casa, e l’amore di cui hai bisogno nemmeno. Quindi lasciati tutto alle spalle e scappa”. Messi liberamente in prosa, sono i primi versi di ‘Smalltown Boy’, singolo che nel giugno del 1984 segnò il debutto dei Bronski Beat, trio synthpop del quale resta oggi il solo Jimmy Somerville, uno dei falsetto più noti della storia del pop. Perso il tastierista/percussionista Larry Steinbachek, morto nel 2016 per cancro, i Bronski Beat hanno appena perso anche Steve Bronski – tastiere, programmazioni, percussioni e chitarra acustica, all’anagrafe Steven William Forrest – spentosi all’età di 61 anni lo scorso 9 dicembre. Scrive Somerville sui social: “È triste sentire che Steve Bronski non ci sia più. Era un uomo di talento e assai melodico. Lavorare con lui sull’unica canzone che ha cambiato le nostre vite e ne ha toccato così tante altre è stato divertente ed emozionante. Grazie per la melodia Steve”.
Il ragazzo di provincia con la testa poggiata al finestrino che nel video di ‘Smalltown Boy’, canzone che ha cambiato le vite ai tre Bronski, se ne va da casa è molto più che un “nato ai bordi di periferia dove i tram non vanno avanti più”. Nel video di Bernard Rose – al quale si devono altri fior di videoclip, quelli di ‘Relax’ e ‘Welcome to the Pleasuredome’ degli altrettanto britannici Frankie Goes To Hollywood – il protagonista è attratto da un nuotatore in una piscina; un innocente sguardo ritenuto di troppo gli vale l’omofobica reazione del nuotatore insieme al branco; col viso gonfio di botte, il protagonista è riconsegnato alla famiglia dalla polizia, col pregiudizio che fa di lui un colpevole anziché una vittima e lo spinge su di un treno insieme ai due amici, in cerca di meglio.
Il “run away, turn away” del ritornello vale agli appena costituitisi Bronski Beat il terzo posto delle chart inglesi e una certificazione di paladini (tutti e tre gay) della causa gay; ancor meglio fa ‘Why’, nelle top ten australiane, tedesche, francesi, olandesi e svizzere e dal testo ancor più esplicito sul pregiudizio anti-omosessulità: “Tu nelle tue false certezze / Distruggi la mia vita condannandomi / Definendomi una malattia / Chiamandomi peccato”.
L’album del 1984 (London Records)
I Bronski Beat nascono in un appartamento di Brixton, distretto a sud di Londra. Steinbachek aveva scoperto la voce di Somerville nel work in progress di un documentario prodotto dalla London Lesbian and Gay Youth Video Project, team di 25 giovani gay e lesbiche in cerca di una lettura non convenzionale del proprio mondo. Steve Bronski, un giorno ha detto: “Ho capito che avremmo avuto successo non appena sentii Jimmy cantare”. E a metà del documentario, Jimmy cantava ‘Screaming’, poi traccia 3 del primo album ‘The Age Of Consent’, dopo il quale Somerville lascerà la band per fondare i Communards e avere il suo number one, una cover di ‘Don’t Leave Me This Way’ rivisitata in maniera elettrobritannica. Tra i riferimenti anche grafici di ‘The Age Of Consent’ (il triangolo rosa, simbolo del movimento di liberazione omosessuale), la copertina interna del vinile, che dopo i credits offre un riassunto aggiornato all’84 delle età del consenso ai rapporti omosessuali a livello internazionale. Un’aggiunta scomoda per l’americana Mca, preoccupata per i cali di vendite e di gradimento radiofonico dovuti a quelle note. In ‘The Age of Consent’, in cui brilla una versione di ‘Ain’t Necessarily So’, il Gershwin di ‘Porgy and Bess’, si narra anche e soprattutto la storia di Steve Bronski, ‘Smalltown Boy’ vittima egli stesso della non accettazione della sua sessualità da parte della famiglia.
Nel 2017, rivisitato e rinominato ‘The Age of Reason’, Bronski aveva dato un seguito al disco: “L’età della ragione – aveva dichiarato – è quella in cui dovremmo vivere, l’età in cui la comunità trans non dovrebbe vivere nella paura, in cui i giovani gay non dovrebbero essere bullizzati. Abbiamo fatto tanto per la causa gay, ma c’è ancora molto da fare”.