Spettacoli

Festival diritti umani, due bei film per iniziare

Prima giornata con ‘La Mif’ dello svizzero Fred Baillif e ‘Fighter’ del sudcoreano Jéro Yun

13 ottobre 2021
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Due film lontani, geograficamente e cinematograficamente, ma uniti dal raccontare la sofferenza che una società indifferente e meschina può arrecare a chi è in difficoltà: non delude, questa prima giornata dell’ottava edizione del Film festival diritti umani Lugano che oggi propone, tra le varie proiezioni, ‘La Mif’ dello svizzero Fred Baillif (alle 18.45 al Cinema Iride) e ‘Fighter’ del sudcoreano Jéro Yun che alle 20.45 al Corso segnerà l’inaugurazione ufficiale del festival.
Iniziamo quindi da quest’ultimo: protagonista del film d’apertura è Jina, una ragazza della Corea del Nord scappata in Corea del Sud. Accolta dal governo che le paga parte dell’affitto e organizza corsi per integrarla in una società così diversa, Jina si trova a dover affrontare pregiudizi e discriminazioni, svolgendo i lavori più umili sperando di riuscire a raccogliere i soldi necessari per far venire a Seul il padre, rimasto in Corea del Nord. Quando tutto sembra crollare – un uomo che ha cercato di abusare di lei la ricatta spacciando per aggressione la difesa di lei –, Jina scopre la boxe. Qui il film potrebbe sfociare nella classica storia di riscatto attraverso la nobile arte, con la già vista metafora della combattente sul ring e nella vita. Jéro Yun ci risparmia tutto questo e – seppur con una regia di buon mestiere ma tutto sommato piatta – utilizza la boxe come strumento per mettere a fuoco il passato e i sentimenti di Jina: scopriamo che ha anche una madre, fuggita anni prima in Corea del Sud abbandonando la famiglia, scopriamo la sua aggressività e la sua fragilità attraverso le quali forse riuscirà a trovare un posto in una società solo in apparenza accogliente.
Anche Fred Baillif affronta la fragilità di chi è solo apparentemente accolto, ma lo fa con un film intenso e corale, costruito con la maestria che fa di questo “cineasta autodidatta” – ed ex giocatore professionista di basket – uno tra gli autori svizzeri più interessanti. ‘La Mif’ ha vinto il Grand Prix per il miglior film nel concorso 14Plus alla Berlinale ed è stato da poco premiato allo Zurich Film Festival; la proiezione a Lugano è in collaborazione con Castellinaria.
Giusto un anno fa avevamo visto il suo divertente ‘Edelweiss Revolution’, frizzante racconto tra documentaristica e finzione di un gruppo di attivisti per l’abolizione del servizio militare in Svizzera. Con ‘La Mif’ Baillif cambia registro e propone un film duro ambientato in una struttura protetta, un foyer nel quale vengono accolti minori che per vari motivi non possono più stare in famiglia. E che in questa nuova “casa” trovano, a loro modo, una famiglia, un luogo dove sentirsi accolti nonostante tutti, nonostante gli inevitabili conflitti, spesso legati ad abusi subiti nella famiglia vera.
Baillif ha lavorato come operatore sociale in una struttura simile e anzi il film è nato in collaborazione con la direttrice dell’istituto dove, vent’anni fa, aveva fatto uno stage. È così iniziato un intenso lavoro di scrittura condivisa con alcune delle ragazze ospitate in quel centro, attrici che hanno sviluppato un proprio personaggio in quel misto tra realtà e finzione che tanto piace a Baillif. Un lungo e intenso lavoro che però rischiava di rimanere in un cassetto a causa della mancanza di finanziamenti: la determinazione di regista e attrici ha portato a fare ugualmente le riprese (e in appena due settimane); una prima versione ha convinto Rts e Ufficio federale della cultura a sostenere il progetto. Il risultato, come accennato, è un film corale, in cui spesso rivediamo la stessa scena da più punti di vista, scoprendo non solo le inquietudini delle sette ragazze protagoniste ma anche degli educatori e soprattutto della direttrice dell’istituto.
‘La Mif’ è non solo una bella riflessione su quello che significa essere parte di una comunità, di una famiglia che non si sceglie ma alla quale alla fine appartieni: il film è anche una descrizione dei limiti di come le autorità prendono a carico, o cercano di prendere a carico, queste persone in difficoltà.