Spettacoli

Osi al Lac, il crepuscolo romantico visto da Poschner

Dall’inedito ‘Traces to Nowhere’ che il direttore Poschner ha ripreso da Sulchan Nassidse alla fin troppo celebre Quinta di Ciajkovskij

Poschner nella Hall del Lac
(foto Luca Sangiorgi)
3 ottobre 2021
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“Partirono dalla ‘stanitsa’ in un trasparente mattino dorato dall’aurora, e al primo sole, tutta la Catena Centrale del Caucaso…” è l’incipit di ‘Agosto 1914’, di Aleksandr Solzenitsyn, un libro che esalta i valori spirituali dell’uomo caucasico e la dolcezza del suo carattere, apparso intorno al 1970, l’anno in cui Solzenitsyn ricevette il Premio Nobel per la letteratura e il compositore georgiano Sulchan Nassidse (1927-1996) terminò la Sinfonia da camera n. 3, che dedicò a un’Orchestra della sua Nazione, allora ancora aggregata all’Unione Sovietica.

Vent’anni fa Markus Poschner diresse quest’Orchestra e con essa conobbe l’opera di Nassidse. Fu la scintilla che secondò la gran fiamma del suo innamoramento per la Georgia, “terra di saghe e miti, vero e proprio crocevia culturale fra Oriente e Occidente” e che l’ha spinto a prendere la penna del compositore. Col pretesto di una trascrizione della Sinfonia di Nassidse ha composto ‘Traces to Nowhere’ per pianoforte, sassofono e orchestra d’archi, un lungo dialogo dei solisti fra loro e con l’orchestra, che ha sedotto il pubblico colto, diventato ormai una parte cospicua di quello che affolla i concerti dell’Orchestra della Svizzera italiana. Il titolo “Tracce di un luogo inesistente” richiama “le pays chimérique et par conséquent introuvable” di Debussy, ma in realtà, ricostruendo sonorità sconosciute, forse misteriose, quest’opera cerca anche di trovarne le tracce.

Nella stupefacente esecuzione offerta giovedì sera Poschner ha goduto della totale complicità del sassofonista Hugo Siegmeth e dell’Orchestra, che ha concesso all’ascoltatore la sensazione di spiare la nuova creazione nel suo divenire. Siegmeth, prima mobile in sala, poi mobile sul palco, Poschner al pianoforte e appena necessario sul leggio davanti all’Orchestra, si sono presi tutte le libertà di improvvisazioni concesse dalla partitura, hanno creato un clima da lavori in corso e tutta l’esecuzione è durata un tempo doppio di quello annunciato nel programma di sala. C’è stato un crescendo di fortissimi, che ha fatto pensare all’evocazione di antichi cruenti rituali, ma alla fine il suono è calato nel silenzio attonito della sala.

Il programma ha contrapposto alla sconosciuta ‘Traces to Nowhere’ la forse troppo conosciuta Quinta Sinfonia di Ciajkovskij, ma con la promessa fatta solennemente da Markus Poschner di un’esecuzione ripulita dalle incrostazioni accumulate in 133 anni di esecuzioni: impresa tutt’altro che semplice, perché impone una rilettura storica della temperie culturale nella quale è stata creata.

Quando nel 1876 Richard Wagner inaugura il nuovo teatro di Bayreuth con l’esecuzione dell’intero Ring la sua fama è all’apogeo. Pensa che l’opera lirica abbia tolto il primato alla musica sinfonica nella gerarchia dei generi musicali. Credo invece che quello sia il momento dell’inizio lento ma inesorabile del declino dell’opera lirica, mentre per una decina di anni si scatena quasi una gara a scrivere sinfonie fra i più importanti compositori presenti sulla scena europea: Franck, Bruckner, Brahms, Dvorak, Ciajkovskij…

Siamo in pieno crepuscolo romantico e qualche storico della musica cita Eduard Hanslick (1825-1904) un critico che trafisse con giudizi taglienti i compositori di quel tempo. Un sostenitore della musica pura, convinto che la forma della musica non ha bisogno del pleonasmo di un contenuto. Ovviamente ostile a Wagner e a tutta l’opera lirica, apprezzava Brahms, tollerava il devoto Bruckner, forse perché le lodi a Dio sono implicite nel linguaggio musicale e non vanno considerate un contenuto aggiunto. Non sopportava Ciajkovskij, che dava titoli alle sue sinfonie e le contaminava con racconti di esperienze della sua vita.

Quali contenuti ha voluto evidenziare Markus Poschner nella Quinta Sinfonia di Piotr Il’ic Ciajkovskij? Quali sentimenti, quali emozioni, quali riflessi della vita sociale e culturale del suo tempo? Non certo l’angoscia per un destino ineluttabile, non l’allegria per una vita agiata o spensierata. Piuttosto un desiderio di tenerezza, di relazioni umane piacevoli, forse l’angoscia per il suo orientamento non eterosessuale che gli rendeva queste relazioni più difficili.

Ma non penso tocchi al recensore proporre interpretazioni che la musica astratta di una sinfonia lascia alla sensibilità di ogni ascoltatore. Gli tocca invece, ancora una volta, il piacere di segnalare la magistrale interpretazione di Poschner che ha diretto senza spartito un’Orchestra duttile e affiatatissima, equilibrata in tutte le sezioni, splendida nelle parti solistiche. Che emozione ritrovare dopo un anno di astinenza un’Orchestra brava come prima, forse più di prima.

Poschner ha detto di disporre di una partitura nuova, ripulita e corretta. Di nuovo ho sentito solo un colpo di piatti nell’accordo finale e penso che la magia del respiro delle frasi, dell’evidenza data a ogni strumento, sia soprattutto il frutto di un raffinatissimo suo lavoro con l’Orchestra, che il pubblico vede riflesso nell’eleganza e nella pertinenza di ogni suo gesto.