Settimane Musicali

Biagio Zoli, l'Orchestra Sinfonica Rai al suono del timpano

È il timpanista a condurci al concerto di venerdì 10 settembre a Locarno: diretta da Fabio Luisi, la storica orchestra propone Mozart, Haydn e Beethoven.

Fabio Luisi a dirigere. Nel riquadro, il timpanista Biagio Zoli (foto: PiùLuce/OSN Rai)
8 settembre 2021
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Il tempo di alzare braccio e puntina dal vinile di ‘Face Dances’, gli Who del 1981, e il maestro Biagio Zoli torna dalla dimensione classica del rock alla dimensione classica e basta. Bresciano d’origine, «zingaro per convenzione, torinese per burocrazia», chi meglio del timpanista dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai può guidarci nel concerto in programma venerdì 10 settembre alle 20.30 nella Chiesa di San Francesco a Locarno (www.ticketcorner.ch). Alle Settimane Musicali 2021 del Francesco Piemontesi direttore artistico, la prestigiosa Orchestra della Rai si presenta diretta da Fabio Luisi (direttore stabile all’Opera di Zurigo, Copenhagen, Dallas e presto Tokyo) per proporre l’Ouverture dalle Nozze di Figaro di Mozart, il Concerto per violoncello n.1 di Haydn insieme al ritrovato (per Ascona) Jan Vogler, e la Sinfonia n.8 di Beethoven a chiudere, da qualcuno definita ‘Sinfonia del buonumore’. «È una definizione dei critici e degli storici musicali, che certamente ne sanno più di me. Personalmente – commenta Zoli – vedo grande continuità in Beethoven, che dalla prima alla nona sinfonia mantiene tratti coerenti, tanto che ognuna pare ispirare la successiva. I titoli ai brani, d’altra parte, venivano assegnati in funzione dei programmi, così com’è accaduto per Mozart con la Jupiter o Mahler con il Titano. Di certo, la n.8 è una sinfonia brillante, senza la minima aria del simposio. È luce, sempre, è raggiante».

Nulla di più adatto per il momento storico, e raggiante come il timpanista, che in pieno lockdown, privato dei suoi timpani, ‘sequestrati’ dal virus, sui canali social dell’Orchestra mostrava il suo set d’emergenza. «Mi sono arrangiato con pelli, parti di batteria e altro, cercando escamotage per tenere calda la tecnica e accesa la testa, perché è un attimo perdere le misure, in entrambi sensi». Tra le prime compagini a ripartire, «se non nel primo lockdown, l’Orchestra della Rai non ha mai subito un vero e proprio stop», spiega Zoli. «È stato riprogrammato il protocollo di sicurezza, a partire dalle distanze che a tutt’oggi manteniamo. Abbiamo suonato regolarmente sin da giugno 2020, principalmente in streaming, dalla forma del trio al piccolo ensemble, fino all’orchestra allargata». Sul portale di Rai Cultura c’è il resoconto. Tecnicamente parlando, il palco preesistente dell’auditorium ‘Arturo Toscanini’ di Torino, sede dell’Orchestra, ha visto l’aggiunta di una pedana, riavvicinandosi alle vecchie forme pre-restauro. «L’unica problematica cui sopperire è la distanza. Oggi mi trovo ancora a quaranta metri dal direttore. L’ascolto è cambiato molto, ma ci si abitua».

Prima il linguaggio, poi la contaminazione

Diplomatosi col massimo dei voti e Lode al conservatorio di Parma, approfondito lo studio del timpano con nomi quali Giangrasso, Bombardieri, Lecoeur, Shompfeld e Barker, Biagio Zoli è transitato dall’Orchestra giovanile Luigi Cherubini diretta da Riccardo Muti; vanta permanenze in quella della Scala (tre anni), nell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, in quella del San Carlo di Napoli. Con un obiettivo: «Era il 2001, ero ancora studente a Parma e l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai venne a suonare il Requiem di Verdi diretto Valerij Gergiev. Decisi in quel momento che avrei voluto esserne il timpanista. Quando, nel 2015, si presentò il concorso, lo puntai in maniera totalizzante». 

La notte prima del concorso, il giovane batterista Biagio Zoli, a suo agio con i controtempo degli Snow Patrol e disposto a picchiare (musicalmente) quando ve ne fosse bisogno, studiava le partiture dell’esame che occupavano mezzo camerino di un teatro di provincia, poco prima di esibirsi con la rockband dell’epoca. La contaminazione di generi non si è mai fermata, nemmeno dopo l’esito del concorso. «È il gusto musicale che spinge a voler ascoltare altro, per curiosità, per interesse. Quando poi si entra nel merito del fare musica, tutto ha dignità, tutto si può fare bene, dal pop al rock alla dance. Nello specifico, ogni genere ha le proprie peculiarità: alcuni generi hanno la peculiarità di essere semplici e diretti, cosa che nella musica è sempre esistita, e altri vanno invece ad approfondire maggiormente gli aspetti armonici, quelli dell’arrangiamento. Tutto si può fare, salvaguardando quella che a parer mio è la forza del musicista, ovvero cercare di aderire il più possibile al linguaggio. Le cose brutte vengono perché non si conosce bene il singolo linguaggio, e quando lo si va a toccare, a modificare, non si è in grado di maneggiarlo con la dovuta competenza. Prima di andare a cercare contaminazioni, provocazioni musicali, bisogna accertarsi di conoscere bene il linguaggio».

E le contaminazioni non sono mancate, anche insieme al leader di una delle formazioni più contaminate e contaminanti della musica italiana. «Mi è capitato giorni fa di suonare nuovamente la batteria con Elio (di Elio e le Storie Tese, ndr), nel nostro vecchio progetto (‘Elio é Frankenstein’, ideato da Danilo Grassi e poi sfociato nell’album ‘Gattini’), e mi sono ritrovato a suonare l’aria del Largo al factotum con la batteria: è una burla, se vogliamo, ma io conosco sia il linguaggio del rock e delle contaminazioni della classica nel rock, sia il linguaggio della classica, dunque ho cercato, pur rendendola in alcuni tratti palesemente tamarra, di suonarla nel modo più dignitoso possibile».

La tempesta perfetta

Lasciando le pelli della batteria per quelle del timpano, soddisfiamo la curiosità del tutto privata su quale sia il brano per eccellenza per il timpanista: «Per come concepisco io il timpano, come meccanismo all’interno dell’orchestra, potrebbe bastare anche un singolo colpo collocato all’interno del sistema emozionale, armonico, e quel brano potrebbe diventare il brano perfetto per il timpanista. Al di là di questo, esistono partiture virtuosistiche come quella della Burlesque di Strauss, in cui la partenza è affidata al solo timpano. E più si viene verso di noi nel tempo, più i brani diventano virtuosistici e più il timpanista ha spazio per essere ‘protagonista’. Tornando indietro nel tempo, invece, quando la funzione del timpano era quasi di ripieno, ogni volta che lo strumento contribuisce a dare carica, spinta insieme agli altri, il timpano diventa a suo modo protagonista. Se proprio devo dirne uno, dirò il più difficile da eseguire: Musica per archi, percussioni e celesta di Bartók, con molte parti complesse al suo interno. È una delle colonne sonore usate da Kubrick per ‘Shining’».

Dalla sua fondazione nel 1931 come Orchestra Sinfonica della Eiar (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche), e dal 1993 Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, dopo la fusione delle quattro precedenti orchestre Rai (le ‘Sinfoniche’ di Torino, Roma e Milano e la ‘Alessandro Scarlatti’ di Napoli, riunite l’anno dopo a Torino), l’orchestra ha segnato la storia nazionale e internazionale, in concerti, incisioni e riconoscimenti. Incluso un Emmy Award per ‘Traviata à Paris’, Miglior spettacolo musicale dell’anno 2001.«Di concerti fantastici – conclude Zoli – se ne fanno tanti. Innanzitutto, il repertorio sinfonico dona ogni volta un’emozione a sé. A livello affettivo, ricordo un concerto carico di passione, diretto proprio dal maestro Luisi, ‘Vita da eroe’ di Richard Strauss, che dedicai a Gianni Giangrasso dell’Orchestra Toscanini di Parma, al quale devo la scelta di questo strumento. A livello esecutivo, ricordo l’Integrale di Brahms diretta da Daniele Gatti, i concerti con Daniel Harding, tra cui un’Eroica molto bella. E, naturalmente, il mio primo concerto da timpanista, diretto da Juraj Valčuha. Altro bel concerto, L’Olandese volante di Wagner, con il nostro ex-direttore principale James Conlon, una figura alla quale ispirarsi, oltre che persona straordinaria, uno di quelli che ‘creano’ il momento dal vivo».

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