Nel fine settimana in concorso sono passati cinque film che inseguono, con maggiore o minore capacità e ironia, un cinema di successo commerciale. E
In competizione sono passati cinque film che hanno diviso pubblico e critica, ma che in generale segnano una svolta della Mostra verso un tipo di cinema rivolto al grande pubblico. Con un’eccezione, ‘Competencia Oficial’, che questa scelta prova ironicamente a spiegare. Diretto a quattro mani dalla premiata e solida coppia argentina Gastón Duprat e Mariano Cohn, il film come indica il titolo parla di cinema e di come nasce un film destinato a vincere un festival. Per farlo i due si sono serviti di una delle coppie d’attori più straordinarie del cinema: Penélope Cruz, che già avevamo qui visto nel film di Almodóvar, e Antonio Banderas, a cui hanno aggiunto un altro mostro sacro della recitazione, Oscar Martínez, che qui al Lido nel 2016 si era portato via la Coppa Volpi come miglior attore. Un trio di fenomenale capacità recitativa che come un trio musicale esegue la partitura loro affidata, con giusta intonazione e speciale esperienza, tale da regalare al pubblico il piacere di esserlo. Un pubblico che si trova a ridere per la bella commedia ma che si trova anche in imbarazzo per un lungo momento, quando la commedia inscenata magistralmente dal trio si trasforma in tragedia con il personaggio di Banderas, un divo popolare e pagatissimo ma nato in tv e pubblicità di poca scuola d’attore, confessa di essere malato di cancro terminale; il pubblico gela insieme ai protagonisti grazie a questo geniale coup de théâtre. La trama è presto detta: un miliardario della farmaceutica giunto agli ottant’anni decide di regalarsi un qualcosa per essere ricordato nel tempo, indeciso tra un film e un ponte. Scelto il film, chiama la miglior regista, l’eccentrica Lola Cuevas (Penélope Cruz), compra il miglior romanzo, le regala i migliori attori: è chiaro che per fare il cinema servono i soldi e qui ce ne sono tanti e la regista ne approfitta. Il suo maggior problema e la lite continua tra i due protagonisti, Félix Rivero attore hollywoodiano (Banderas) e Iván Torres virtuoso del teatro sperimentale (Martínez). La commedia è stupenda e la conclusione non manca di sorprendere. Spiega Gastón Duprat: “La cosa più unica in un film è quello che gli attori riescono a suscitare: farci piangere, farci ridere, generare emozioni. Il film indaga questa relazione complessa e straordinaria, solitamente nascosta alla vista del grande pubblico”.
Su altre strade, anche qui però da commedia, viaggia ‘Mona Lisa and the Blood Moon’ di Ana Lily Amirpour, che qui a Venezia nel 2016 ha vinto il Premio speciale della Giuria con ‘The Bad Batch’. Per il suo film ha scelto come protagonista Jeon Jong-seo che vista in Concorso a Cannes 2018 con ‘Beoning’ mostra qui la sua originale sapienza attoriale affrontando il personaggio di una ragazza schizofrenica e con il potente potere di piegare la volontà delle persone che le si avvicinano. Rinchiusa in un ospedale psichiatrico da 12 anni, la ragazza percorre la notturna New Orleans seminando panico tra la polizia e trovando anche l'amore di persone che non vogliono sfruttare i suoi poteri magici. Il gioco è ben condotto e a fare da spalla alla protagonista una solida attrice come Kate Hudson. Ancora un grande attore e una splendida attrice: Tim Roth e Charlotte Gainsbourg per Michel Franco che un anno dopo il Gran premio della Giuria per il suo ‘Nuevo orden’ ritenta la caccia al Leone con ‘Sundown’’, un film sulla morte e il morire, sul denaro e l’averlo e non averlo, un film sulla solitudine e sull’amore come veloce razzo per uscirne, un film sul sole e su una città, Acapulco, diventata da pittoresca località turistica a epicentro di una cieca violenza. Tim Roth e Charlotte Gainsbourg sono due fratelli miliardari in vacanza ad Acapulco con i figli di lei già grandi. Succede che muoia la madre dei due protagonisti: bisogna interrompere la vacanza, ma lui non parte e non partirà, lui sa che deve morire e assapora quello che ancora può avere dalla vita, una montagna di birre e un amore sincero. Ci sono stati anche applausi, pochi in verità, anche perché parte del pubblico se n'era uscito da tempo per ‘Il buco’ di Michelangelo Frammartino, un film felpato nelle emozioni e nei sentimenti che non riesce a costruire. Il buco del titolo è l’Abisso del Bifurto, detta anche “Fossa del lupo”, 683 metri nella profondità carsica del territorio calabro nel territorio di Cerchiara di Calabria. Il film prova a mettere a confronto il lavoro degli speleologi che affrontano quell’Abisso e il mondo, siamo negli anni Sessanta dello scorso secolo, che costruisce grattacieli a Milano, ma il confronto più grosso con le immagini meneghine è quello con l’ambiente fuori dal buco, una natura non corrotta ferma da millenni, come i suoi pastori. Il film ha il limite di raccontare di speleologia senza saperla veramente affrontare: esistono migliaia di film che parlano di speleologia e raccontano territori, è un argomento complesso, certo ci si può accontentare ma non a un festival del cinema.
Ancora in concorso ‘Illusions Perdues’ che il regista francese Xavier Giannoli ha tratto da uno dei pilastri della cultura letteraria francese, ‘Illusioni perdute’ (Illusions perdues) di Honoré de Balzac. Un testo poco frequentato dal cinema anche per la difficoltà di esprimere la profondità di Balzac mai, forse, così moderno da costruire un’idea da potersi applicare anche nella nostra epoca digitale, con l’invito ai giovani di combattere per il loro futuro e di accettare l’inevitabile sconfitta. Il destino del protagonista è una corsa verso l’essere sconfitto, ma il suo cammino è fatto anche di vittorie, ed è un fatto che lui, Lucien, il poeta, l’amante, il tipografo, il giornalista… lui impara e sa che tutto può essere comprato o venduto, il successo letterario e la stampa, la politica e i sentimenti, la dignità, l’onore e l’anima. Balzac denuncia il pericolo insito nell’informazione, che nasce in quel tempo di Restaurazione che affoga gli spiriti della Rivoluzione e di Napoleone, nella frivolezza del vuoto vivere e discutere. Xavier Giannoli ha bisogno delle parole di Balzac per far capire, non gli basta il bel mettere in scena, la preziosità delle musiche, è la parola fuori campo di Balzac che esplode nell’indicibile che esiste sullo schermo. Tra i protagonisti fa pensare la recita di Cécile de France, un’attrice spesso trascurata, ma che anche qui riesce a far sentire la sua pelle attoriale, in un gioco di gesti e di pronunce che distraggono dalla vicenda per regalare la bellezza della recita.