Concerto conclusivo del Composer Seminar del festival lucernese con un omaggio a Pierre Boulez, fondatore della Festival Academy, e quattro giovani direttori
Nel mio studio conservo su scaffali a portata di mano tutti i programmi di sala dei concerti seguiti in tanti anni del Lucerne Festival. Li considero fra le pubblicazioni più preziose della mia biblioteca musicale, comunque tengono il posto delle enciclopedie, esempi infingardi di cultura in scatola.
Quest’anno ho scelto di seguire esclusivamente l’offerta di musica contemporanea, della composer in residence Rebecca Saunders e della Festival Academy, creata vent’anni fa da Pierre Boulez e diretta adesso da Wolfgang Rihm. Così sabato 28 agosto ero al concerto finale del Composer Seminar, per il quale non è stato stampato il programma di sala, ma un solo foglietto con i nomi dei compositori, i titoli delle opere, i nomi dei quattro direttori che si sono alternati sul podio, non però quelli degli undici strumentisti. Ma, gradita sorpresa, sul palco con loro c’erano Wolfgang Rihm e Dieter Ammann, i due prestigiosi direttori del seminario, che non solo hanno presentato al pubblico i brani con la competenza degli addetti ai lavori, ma hanno anche evocato la solitudine del giovane compositore che, col suo corredo di memoria e contemporaneità, sa che per catturare l’ascoltatore non deve assecondarlo nelle sue consuetudini e nei suoi pregiudizi, ma piuttosto incalzarlo e costringerlo a rifare i conti con le sue certezze.
L’Ensemble della Lucerne Festival Contemporary Orchestra era senza archi e con tanti ottoni: due corni, due trombe, due tromboni e una tuba; con essi un’arpa, un pianoforte e una celesta affidati a una sola tastierista, un’immensa percussione per la quale sono bastati due impegnatissimi percussionisti. I quattro giovani, ma già affermati direttori erano, in ordine di apparizione, Jack Sheen, Maayan Franco, Svann Van Rechem e Rita Castro Blanco, tutti partecipanti al Conducting Fellowship della Festival Academy, sul quale non ho trovato altre informazioni.
Il programma si è aperto con un omaggio a Pierre Boulez : “Initiale” per sette ottoni, breve brano che compose nel 1987 e revisionò nel 2010, un importante termine di paragone per i brani successivi. Il primo confronto col maestro è toccato al compositore newyorkese Tyson Gholston Davis (*2000) con “Tableau No. IV” per corno solo e “Canto II” per due corni, arpa, marimba e xilofono. Il catalano Arnau Brichs (*2000) ha impiegato l’intero Ensemble per “Crime Perfecte”. Così pure Il londinese Theo Finkel (*1995) che in “Tournesol” ha preferito la celesta al pianoforte. Un altro catalano, Guillem Palomar (*1997) ha chiuso il programma con un mistico “Hymne für elf Musiker*Innen”.
La musica dei quattro compositori poco più che ventenni ha retto bene il confronto con quella del maestro Boulez, per la scelta del materiale sonoro e per la chiarezza con la quale è stato elaborato. C’è molta qualità in queste produzioni musicali, quindi molto lavoro dietro a esse. I giorni di seminario durante il Festival sono solo il momento conclusivo di relazioni di studio molto estese nel tempo e nello spazio.
Nella musica contemporanea eseguita a Lucerna ci sono tracce di dove sta andando la musica? Ce ne sono, e su di esse si deve scommettere. Era evidente nel concerto di sabato la cura di ogni direttore di tenere la bacchetta ferma allo spegnimento dell’ultima nota per un pubblico compiaciuto di attendere prima di sciogliere l’applauso. Diventerà costume manifestare il consenso col silenzio, evitare gli applausi dirompenti come liberazioni dalla noia dell’ascolto, le standing ovations, che sanno di gazzarre da stadio?
Ai musicisti compete di eseguire la musica, ma perché l’esecuzione diventi interpretazione occorre loro la partecipazione degli ascoltatori. Il silenzio assordante che fa capire che il pubblico sta respirando con loro…. bisognerà allora attendere la fine della pandemia e le sale da concerto senza distanze sociali e mascherine.