Al Sociale di Bellinzona debutta lo spettacolo di Flavio Stroppini con Matteo Carassini dedicato ai pirati di Cannero, “rivoluzionari al servizio della gente”
Prima assoluta, domani martedì 1° giugno, alle 20.45, al Teatro Sociale di Bellinzona per ‘C’era una volta la tempesta’, scritto da Flavio Stroppini con Matteo Carassini, anche compositore delle musiche originali. Shakespeare incontra i fratelli Mazzardi, i “pirati di Cannero” sul Lago Maggiore.
Flavio Stroppini, qual è il ruolo di Shakespeare? Ispirazione, pretesto o è da considerare (co-)autore?
‘La tempesta’ è il testo che preferisco di Shakespeare. Scoprendo la storia dei pirati mazzarditi è stato naturale legarla alla sua ultima opera. Stessi temi, struttura simile e personaggi che in qualche modo ripercorrono lo stesso arco narrativo. Così è nato il “racconta-storie” protagonista del monologo: un attore che mette in scena ‘La tempesta’ da una vita e che, per una volta, decide di raccontarla mescolandola alle gesta dei mazzarditi. La sfida è stata scrivere il testo in un linguaggio simil-shakespeariano, un po’ cialtrone ma teso alla poesia. Dunque Shakespeare più che un co-autore è un nume tutelare; il nostro “racconta-storie” cerca il suo consenso e lo riconosce come uno dei capostipiti della sua stirpe di commedianti.
Coinvolgendo Matteo Carassini dei Trenincorsa…
‘C’era una volta la tempesta’ racconta una storia di gente comune, un’insurrezione dei “poveracci” per una volta diventati padroni. Volevo un testo musicale e con canzoni vere e proprie. C’era bisogno di un menestrello folk. Ancora prima di scrivere una parola ho incontrato Matteo proponendogli il progetto. Per me non poteva che essere lui a interpretarlo. E Matteo è andato più in là, ha composto le cinque canzoni che scandiscono lo spettacolo riuscendo a portare la narrazione nel mondo popolare che desideravo. È così che è nato ‘C’era una volta la tempesta’, uno spettacolo di narrazione che parla di libertà, di potere, di magia, di avidità e prigionia.
Dei “pirati di Cannero” si sentono tante storie: qual è, al di là di romanticizzazioni e pregiudizi, la Storia vera e che ruolo ha avuto nello spettacolo?
Le gesta dei mazzarditi si svolgono agli inizi del 1400. Un mondo post-peste e torturato dalle angherie di Filippo Maria Visconti che prese il potere alla morte del fratello Giovanni Maria. I due figli di Gian Galeazzo si distinsero per ferocia, paranoia e perfidia. C’è stata una profonda ricerca storica per raccontare e lo sappiamo che spesso la storia è al servizio del potente. Quelli che vennero dipinti nel 1400 come dispotici pirati erano in realtà dei rivoluzionari al servizio della gente. Dei novelli Fra Dolcino che predicavano uguaglianza e libertà e che per qualche anno riuscirono a tenere in scacco i Visconti di Milano. Cinque fratelli che riuscirono a mostrare la possibilità di non essere schiavi, che seminarono nella testa della gente il sogno di una vita diversa.
Eventi di secoli fa ma ancora attuali?
‘La tempesta’ parla di naufragio, di disperazione, di solitudine, di odio per il diverso, di avidità, di prevaricazione… Se guardo al mondo che viviamo trovo tutti questi temi al centro del reflusso ideologico e culturale che stiamo vivendo. La pandemia che stiamo attraversando ha esacerbato i contrasti, alzato i muri, fatto naufragare progetti multiculturali. Trovo che quel grido entusiasta che si sentiva all’inizio, quel “tutto andrà bene”, sia diventato un singhiozzo. Avevamo l’occasione di costruire un nuovo territorio di comunità, di identità globale… e invece ci ritroviamo colonizzati da confini, regole e tuttologi che fanno dimenticare la speranza. Quando ci libereremo di questo periodo ci ritroveremo più imprigionati di quello che eravamo. Di tutto questo parla anche ‘La tempesta’ che, come ogni prodotto culturale dovrebbe fare, non snocciola semplicemente una storia o regala risposte ma fa interrogare il pubblico su questi temi. Temi che incrociano anche la storia dei cinque fratelli mazzarditi. Shakespeare scrive “Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni.” Sappiamo che i sogni sono più grandi, più hai la possibilità di sognare. Oggi sembra che si cerchi di non fare incubi e se si può, il mattino, non li vogliamo ricordare. Raccontare questa storia è un tentativo di ricordare che possiamo avere di più, che vale la pena resistere per un obiettivo comune. Quello di riconoscerci vicini, simili, nonostante le distanze.
È una coincidenza (il debutto era previsto a dicembre), ma come considerare la prima due giorni dopo lo sgombero e la demolizione del Molino?
Credo che ci sia da urlare. E che ognuno debba cercare il modo per farlo al meglio. ‘C’era una volta la tempesta’ è un urlo che parla anche di eventi come quello appena accaduto. Personalmente trovo che lo sgombero e la demolizione del Molino sia una “porcata”. Ci si è privati di una fonte di linfa della nostra comunità. È un segnale devastante quello che è stato dato. Oltre che per la modalità anche politicamente, simbolicamente e culturalmente. È stato un uso indiscriminato di forza e di sopraffazione. Un atto da parenti poveri dei “Visconti di Milano” più che da Municipio di Lugano. Pensando al futuro mi aggrappo a una battuta del nostro racconta-storie: “C’è che la libertà è un germe strano / Che anche se non ce l’hai ma sai cos’è / Non puoi starne lontano”.