Cinema

Nyon: 'Faya Dayi' vince un festival dal palmarès condivisibile

Primo premio al film di di Jessica Beshir, decisa denuncia sociale e civile e per una regia superbamente adulta

Grand Prix 2021 (www.visionsdureel.ch)
25 aprile 2021
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Per una volta è stato facile condividere i premi con una giuria, quella di questa 52esima edizione di Visions du Réel appena conclusasi, anche dal vivo, a Nyon. La Giuria formata dal regista Thomas Imbach, da Savina Neirotti (direttrice del Torino Film Lab and Head of Programming della Biennale College - Cinema) e da Josh Siegel (Curator, Film Department, MoMA Usa) ha assegnato il primo premio a ‘Faya Dayi’ di Jessica Beshir, un film capace di convincere tutti per la bella fotografia in bianco e nero, ma soprattutto per la decisa denuncia sociale e civile e per una regia superbamente adulta. La Giuria ha così motivato il suo premio: “Intreccio di un'antica parabola sufi sulla ricerca dell'acqua della vita eterna con una rigorosa meditazione sul lavoro, lo sfruttamento e l'esilio, e muoversi liberamente tra i diversi livelli di realtà e coscienza, Jessica Beshir ha creato una favola onirica per i nostri tempi incerti”. Prevedibile anche l’ex aequo per lo Special Jury Award a ‘1970’, film politico di grande spessore cinematografico sul primo grande sciopero polacco contro il caro prezzi, firmato da Tomasz Wolski, e al turco ‘Les Enfants terribles’ di Ahmet Necdet Cupur.

‘Les Enfants terribles’ è film autobiografico di un giovane che racconta il suo vivere in una comunità agricola turca segnata da una pesante tradizione maschilista incapace di aprirsi alla modernità civile e sociale, soprattutto per non perdere il proprio potere sulle femmine. Un mondo tradizionale che bene si incarna con il potere misogino di Erdogan. Il giovane, costretto adolescente a sposare una coetanea che non ama, abbandona la casa per non vivere con lei, seguito dalla sorella che tenta un riscatto sociale andando a studiare all'università, naturalmente mantenendosi lavorando, visto che il padre non ritiene la figlia, donna, degna di studiare; lo stesso imam del luogo interviene per convincere il giovane a tornare con la sposa, d’accordo con la madre del ragazzo: basta farle fare un figlio, gli dicono, poi può andarsene e tornare anche dopo anni. Una mentalità in cui la donna non è un oggetto, ma un animale senza sentimenti. Un film durissimo nella dolcezza e semplicità con cui racconta il terrore di una società inumana.

La sezione ‘Burning Lights’ ha visto premiato il tragico ‘Looking for Horses’ di Stefan Pavlović, un film in cui l'autore incontra un uomo che vive solitario sulle sponde di un lago nella ex Jugoslavia. È un ex soldato restato quasi sordo durante la sanguinosa guerra dei primi anni novanta dello scorso secolo in cui si scannarono per l'eredità territoriale di Tito; negli anni a seguire ha perso anche un occhio, non si è mai sposato e lo spiega nel suo sentirsi assassino, uno che uccide con la stessa tranquillità con cui beve una birra. Il regista gli diventa amico e confidente, l'assassino si sente più umano, meno oppresso dai ricordi. Negli Usa sono abbondanti i film sui reduci tornati dal Vietnam, mai nessuno ha avuto la forza umana di questo documentario.

Qui lo Special Jury Award è andato a ‘Esquirlas’ (Schegge) Natalia Garayalde, un film che ricorda un terribile scandalo argentino. Nel 1995, il governo argentino fece saltare in aria una fabbrica di armi per coprire la vendita illegale di armamenti verso l'Ecuador e la Croazia: 7 morti e 300 feriti sacrificati in nome dell’impunità di Carlos Saúl Menem, presidente del paese latinoamericano per dieci anni, dal 1989 al 1999. Un film che pone in evidenza le responsabilità dei paesi che vendono le armi ad altri paesi in guerra.

La competizione nazionale è stata vinta da ‘Nostromo” di Fisnik Maxville, un film ambientato in un'isola lontana e selvaggia del Canada. Il premio per il mediometraggio è andato a ‘Strict Regime’ di Nikita Yefimov, mentre quello per il cortometraggio all’ironico e irriverente ‘A comuñón da miña prima Andrea’ di Brandán Cerviño, un film bunueliano sulla fede, l'infanzia, Dio, la costrizione religiosa e il cinema. Già, perché alla fine, un festival di cinema parla anche di cinema.