Portò la musica nera ai bianchi. Dylan voleva suonare nella sua band, Hendrix lo fece. E i Beatles aprivano per lui. Si definiva 'il vero re', e forse aveva ragione
Non aveva un singolo nella top ten dal 1958, soprattutto ora che aveva 87 anni, ma la sua importanza per la musica popolare è pari a quella del signor Bic per il mondo della scrittura, di Isaac Newton per l’industria delle mele e Steve Jobs in quella delle finestre. Fosse stato anche per la sola ‘Tutti Frutti’, la madre di tutte le hit, o l’intero ‘Here’s Little Richard’, 1957, incluso tra i ‘1001 album che devi ascoltare prima di morire’ o, ancor più restrittivamente, tra i cento migliori di sempre per il Time. E un po’ per tutte le riviste di musica. Fosse stato anche solo per ‘Lucille’, un’altra delle canzoni con le quali resterà identificato: “In Georgia, la sera – dichiarò negli anni Ottanta – le uniche cose interessanti da ascoltare erano le mucche e i polli. E il treno che passava, che ogni volta faceva tremare le cose in casa. Da quel rumore è nato l’incedere di quella canzone”.
'Dio mi ha parlato la scorsa notte, il mondo si avvicina alla fine'
Little Richard si è spento ieri nel Tennessee, dove viveva con il fratello, per un cancro alle ossa. Una delle sue ultime apparizioni in pubblico risale al 2017, seduto su una sedia a rotelle per problemi a un anca, senza più baffetti e chioma folta, ma con giacca e cravatta sufficientemente fluorescenti. Richard Wayne Penniman da Macon, Georgia, terzo di 12 figli di una religiosissima coppia di appartenenti alla chiesa battista, per tutta la vita entertainer e predicatore – dalla visione leggermente apocalittica, “Dio mi ha parlato la scorsa notte, il mondo si avvicina alla fine”, disse qualche anno fa – lasciava uno dei suoi ultimi messaggi alla 3ABN, organizzazione e canale radio-tv cristiano avventista. Un appello all’uguaglianza in linea con quanto fatto dalla sua musica.
L’elemento religioso è stato una costante della sua vita umana e artistica. Nel 1957, all’apice del successo, vide nella scia luminosa avvistata nel cielo di Sidney un segno divino, l’invito a lasciare eccessi e musica secolare per qualcosa di più trascendente (gli dissero che era lo Sputnik, ma poco cambiò). Fu l’inizio di una serie di addii e ritorni alle scene, il primo dei quali nel 1962, con i Beatles ad aprire i suoi concerti. Non a caso Ringo Starr, in queste ore, posta una foto d’epoca con Penniman al centro e i Favolosi Quattro tutt’intorno.
“Andai su tutte le furie – disse in una delle molte interviste – quando Pat Boone rifece ‘Tutti Frutti’, perché bloccò tutti i miei guadagni. Ma più tardi sentii di essergli riconoscente, perché la canzone di un nero arrivava ai bianchi”. In un vecchio documentario, con Bo Diddley al suo fianco che si lagnava di come gli U2 gli avessero ‘rubato’ l’inconfondibile ‘Bo Diddley beat’, marchio di fabbrica, Little Richard ricordava la triste vita degli artisti neri in bettole per soli neri, con gli emissari delle case discografiche in incognito per arraffare i più interessanti spunti ritmici e melodico-armonici – a volte anche la canzone intera – da portare ai bianchi per fare soldi in tv. Intuizioni generalmente affidate alla calda voce e non di meno allo sguardo strappamutande di Pat Boone, rassicurante idolo delle teenager statunitensi fra gli anni Cinquanta e Sessanta.
'Il suono del rock and roll' (The Rock and Roll Hall of Fame)
Non gli avrà dato fuoco come Jerry Lee Lewis in ‘Great Balls of Fire’, ma è certo che Little Richard sapeva come maltrattare un pianoforte. Ad arte, s’intende. Aggredito, posseduto, per la disperazione degli insegnanti di musica e per il trionfo dell’esercito di liberazione dalle partiture musicali. “Il suo frenetico pianismo e la voce roca su classici come ‘Tutti Frutti’, ‘Long Tall Sally’ e ‘Good Golly Miss Molly’ hanno definito il suono del rock and roll”, recita parte del testo scolpito sulle tavole della Rock and Roll Hall of Fame nella quale l’artista fu introdotto nel 1986. Ma come gli amministratori delegati, in un cumulo di cariche sociali, Richard Wayne Penniman era e sarà anche in altre Hall of Fame – ‘Songwriters’, ‘Blues’ e ‘Rhythm and Blues – e altre famosissime Walk (Hollywood inclusa).
'Prima non c’era nulla, e improvvisamente c’era tutto' (Brian Johnson, Ac/Dc)
Nel 1988, una manciata di stellati denominati ‘The Giants of rock and roll’ – Chuck Berry, James Brown, Ray Charles, Bo Diddley, Fats Domino, Jerry Lee Lewis e naturalmente Little Richard – raggiunsero Roma per un concertone epico nel quale Penniman, nel pieno rispetto della propria ‘originalità’, regalò i propri stivaletti alle prime file. Più forte dei suprematisti bianchi che negli anni della sua consacrazione vedevano il lui il rischio che le razze si potessero fondere, più forte dell’omofobia (“Da giovane mi hanno chiamato in ogni modo, volevano letteralmente farmi fuori”, anche se giurò di essere stato il primo artista oggetto di lancio di biancheria intima femminile), più forte delle dipendenze (“A un certo punto avrebbero potuto anche chiamarmi Little Cocaine, invece di Little Richard”), la fusione di stili della quale si rese protagonista è ben riassunta da Brian Johnson, erede di Bon Scott negli Ac/Dc, che nel 2014 raccontava alla stampa inglese di quel sabato in cui alla tv apparve “questo strano tizio con denti e capelli assurdi, ma più attraente di una bella donna. Il presentatore annunciò ‘Tutti Frutti’: prima non c’era nulla, e improvvisamente c’era tutto”.
'Per mia madre Tutti Frutti non era altro che rumore insopportabile' (Elton John)
‘The Innovator’, ‘The Originator’, ‘L’architetto del rock and roll’ o ‘Il vero re del rock and roll’, come ci teneva ad essere definito. Un giorno disse che “se Elvis è il re del rock and roll, allora io sono la regina”. Quella fusione di boogie-woogie, rhythm and blues e gospel diffusa da radio e tv entrò nelle case e nei sogni di star ancora in tenera età, segnando loro il cammino: “Mia madre, grande fan di Elvis, era inorridita da Little Richard. Per lei ‘Tutti Frutti’ non era altro che rumore insopportabile”, racconta Elton John nella sua autobiografia. Nella costruzione della propria presenza scenica, non potendo “gigioneggiare come Mick Jagger né sfasciare lo strumento come Jimi Hendrix”, e trovando Jerry Lee Lewis tecnicamente inarrivabile, Sir Elton copiò “Little Richard che si alzava in piedi e si piegava all’indietro mentre suonava, una fatica bestiale per chi ha due braccia corte come le mie”. Pur dalla formazione più pianisticamente colta, Billy Joel cita la frenesia pianistica e vocale di Pennimann in ‘Christie Lee’, rock and roll allo stato puro contenuto in ‘An innocent man’, il personale tributo del pianista di Long Island ai meravigliosi Anni Sessanta.
'La mia più grande ispirazione nei miei teenage years (Mick Jagger)'
Tutti i grandi lo hanno citato almeno una volta come fonte d’ispirazione, da Bowie a Dylan, che anelava di far parte della sua band, o Hendrix, che della sua band fece parte davvero. Da Eddie Cochran a Elvis, a Otis Redding, a Sam Cooke, che hanno cantanto le sue canzoni. Fino a Ray Charles, per il quale Penniman “ha posto le basi di gran parte di ciò che è accaduto”.
Il libro funebre è fitto di dediche. Di Little in Little: Steve van Zandt, Little Steven, riassume il concetto di ‘Innovator’ in poche righe: “Richard è l’uomo che ha inventato il rock and roll. Elvis l’ha reso popolare. Chuck Berry era lo storyteller, Little Richard l’archetipo”. Mick Jagger: “La mia più grande ispirazione nei teenage years. La sua musica ha la stessa energia di quando esplose a metà degli anni ‘50”. Brian Wilson, The Beach Boys: “Era lì all’inizio, e ha spiegato a tutti noi come si fa il rock and roll”.
La lista di folgorati sulla via del rock and roll alla prima visione di Little Richard è interminabile. Uno per tutti: Paul McCartney, orgoglioso di essere riuscito a riprodurre il suo grido, “un’esperienza extracorporea”, nulla che si possa fare con la ragione se non “elevandosi mentalmente da terra”.