Oggi alla Fondazione Majid si apre un ciclo di tre incontri a partire da Damien Chazelle. La filosofia ci può aiutare a capire, e apprezzare, i film...
‘Whiplash’, ‘La La Land’ e ‘First Man’: sono i tre film, tutti del giovane Damien Chazelle, al centro del ciclo Cinema e filosofia che la Fondazione Majid organizza nella sua sede di via Borgo 7 ad Ascona. Primo ospite, oggi alle 20.30, Roberto Mordacci, professore di Filosofia morale all’Università San Raffaele di Milano.
Professor Mordacci, che cosa distingue la vostra proposta dai tanti ‘cineforum filosofici’ che troviamo?
Ci sono due elementi diversi. Come gruppo di lavoro sul cinema, quello che cerchiamo di fare è fornire dei metodi di visione del film, degli strumenti di apprezzamento dei film che sono ispirati dalla filosofia ma che sono alla portata di tutti. Cerchiamo di far vedere come questi metodi funzionano affinché le persone ne facciano uso: badare alle immagini in un certo modo, badare alla storia in un certo modo…
Quindi non il film come pretesto per affrontare un tema filosofico ma il contrario: la filosofia come strumento per leggere i film.
Esattamente. Poi, e così arrivo al secondo elemento a mio parere originale, gli incontri che terremo ad Ascona, come quelli che teniamo a Milano, non sono basati sulla visione integrale del film: rintracciamo nel film un tema e mostriamo come comprendere quel tema, quello che il film vuole comunicarci attraverso quel tema, usando alcune domande della filosofia. Si tratta di strumenti semplici ma che funzionano: abbiamo scritto un manualetto (‘Come fare filosofia con i film’, Carocci, ndr) in cui suggeriamo quattro metodi per godersi i film, per poterli apprezzare meglio.
Questi quattro metodi quali sono?
Naturalmente non sono tutti i metodi possibili, ma sono i quattro che abbiamo rintracciato anche in letteratura, quattro stili che incontri, magari mescolati tra di loro.
Il primo è quello classico: il cinema riflette su di sé, sulla propria natura, è una filosofia dell’immagine in movimento. È quello che fa Deleuze, quello che fanno i teorici del cinema che si interrogano su quale sia lo statuto dell’arte cinematografica – e quindi quale messaggio possa veicolare.
Un altro stile è quello che chiamiamo “filosofia filmica”: l’idea è che almeno alcuni film sono come un testo di filosofia, vogliono esplorare un problema ed elaborare una risposta al problema dall’interno della storia che stanno raccontando. Come accade in molta filosofia quando si usano le metafore o i miti: penso a Platone, al mito della caverna o a quello di Er, penso ad alcune metafore che utilizza Kant. Quando vuole raggiungere il cuore di un problema, spesso il filosofo abbandona il linguaggio concettuale e arriva a un linguaggio immaginifico o narrativo.
E voi fate il percorso inverso.
Sì, facciamo un po’ il contrario: leggiamo il linguaggio narrativo come una dimostrazione filosofica. È una pratica molto diffusa, alcuni autori come Thomas Wartenberg l’hanno cavalcata a lungo – ed è il metodo che io pratico di più.
Una terza via è usare il film in modo puramente strumentale per parlare di problemi filosofici. Tipico esempio: in bioetica, prendi un film in cui c’è una scena, magari accessoria, di un aborto, un’eutanasia, un’esecuzione capitale… il che aiuta a fare una riflessione concreta. Un uso strumentale, perché magari il film tocca quel tema solo tangenzialmente – un approccio che chiamiamo “fare filosofia con i film”.
Il quarto metodo è il cinema come documento storico-culturale: i film sono sempre un documento di come una determinata epoca, di come una determinata cultura pensa sé stessa. Se per giunta mette a tema sé stessa come storia culturale, ha un valore ancora più alto: fai storia della cultura, storia delle idee. Se prendi un film come ‘Novecento’ di Bertolucci, nel 1976 era un piccolo trattato di storia del Novecento, oggi per noi è come negli anni Settanta si concepiva la storia, i valori della sinistra in quel momento.
Tre serate con tre film dello stesso regista. Come mai un autore solo – e come mai proprio Chazelle?
L’associazione ha come scopo la promozione dei talenti giovanili. E Chazelle – oggi – ha trentaquattro anni e ha collezionato Oscar e capolavori, perché i film di cui parleremo sono ‘Whiplash’, ‘La La Land’ e ‘The First Man’, lavori di alta fattura cinematografica. Ci sembrava importante dedicare questa rassegna a un giovane regista di talento.
Inoltre in due di questi film i protagonisti sono giovani: ‘Whiplash’ è un giovane batterista messo alle corde dal suo maestro, ‘La La Land’, la vita giovane che va all’esplorazione della felicità e poi deve fare delle scelte.
E a fare questo lavoro saremo in tre: io e due miei collaboratori, giovani anche loro, under 33: Raffaele Ariano e Maria Russo.
Durante questi incontri analizzerete ogni film seguendo i quattro approcci indicati prima?
Sì, ma piuttosto liberamente. Daremo di ciascun film una lettura in cui mostreremo in che senso in quel punto stiamo usando un metodo oppure un altro. Ma non faremo una cosa troppo didattica: saranno delle serate in cui soprattutto si cercherà di comprendere la grandezza di un film.
Venendo al primo appuntamento, su ‘Whiplash,’ il titolo è ‘Senza musica la vita sarebbe un errore.’
È una frase di Nietzsche che si applica benissimo a ‘Whiplash’. Il film è quasi un romanzo di formazione, di questo ragazzo che viene quasi abusato, nei modi che utilizza il suo insegnante per ottenere da lui il meglio. Sebbene anche la vicenda mostra che questo insegnante è stato troppo duro e che il ragazzo ne ha subito umiliazioni, la morale del film è che a essere crudele è la musica, e quindi la vita. Cioè l’esigenza di dare il meglio per qualcosa che merita la dedizione assoluta – in questo caso: l’arte – è una cosa su cui la vita non ti fa sconti. Se è vero che dal punto di vista umano l’insegnante era troppo duro, è anche vero che era l’arte a costringerlo a questo ruolo.
Un film tesissimo, per cui J. K. Simmons ha vinto l’Oscar come miglior attore non protagonista. E secondo me molto bello – tra l’altro preferisco questo agli altri due: ‘La La Land’ è un buon musical, forse un po’ a metà del genere, e ‘First Man’ è un buon film classico della Hollywood contemporanea, una celebrazione molto americana.