Spettacoli

La leggenda Dr. John nei ricordi di Estival e JazzAscona

Il grande pianista e singer-songwriter, morto all'età di 77 anni, raccontato da Jacky Marti (che nel 2012 gli conferì il Premio alla carriera) e da Nicolas Gilliet

Nel 2008 al New Orleans Jazz & Heritage Festival (Keystone)
7 giugno 2019
|

Singer-songwriter, pianista (anche chitarrista), un posto al sole nella Rock and Roll Hall of Fame e, a partire dal 1989, sei Grammy, l’ultimo dei quali per ‘Locked down’, un mix quasi tribale di blues, rock e funk premiato nel 2013 dall’Academy della musica quale 'Miglior album blues'. Un attacco cardiaco si è portato via il 77enne Dr. John, una delle stelle più luminose di New Orleans, artista multiforme capace di esportare il suono e tutti gli annessi e connessi tradizional-scenografici della Louisiana. A tratti defilato, quando in funzione di session man, ha prestato i suoi servigi agli Stones, ad Aretha Franklin, Van Morrison, B.B. King e mille altri, compresa l’allora coppia James Taylor-Carly Simon di ‘Mokingbird’, in cui il suo pianismo si sposa con uno dei solos di Michael Brecker. In tutta la sua colorita presenza, Dr. John appare nel documentario di Martin Scorsese ‘The Last Waltz’, per suonare ‘Such a night’ con The Band. Ma canta e suona pure negli immaginari Louisiana Gator Boys, la straripante (di nomi) all-star band che accompagna i Blues Brothers 2000 nell’omonimo film.

All’ufficio anagrafe di New Orleans, Malcolm John Rebennack risulta essere nato nel novembre del 1941. Ma Jacky Marti, patron di quell’Estival Jazz che nel 2012 gli consegnò il Premio alla carriera, nel ricordare il musicista scomparso riporta un aneddotto al quale non riuscì a dare piena verità storica: «Sembra che da giovane – racconta Marti alla ‘Regione’ – per poter suonare nei club della città si fosse tirato avanti l’età di un anno. Quando glielo chiesi, quella sera, sorrise, facendomi capire che forse era andata così. Ma quel piccolo segreto se l’è portato nella tomba». Resta sulla terra, invece, il ricordo dell’artista: «Mancherà. È stato monumentale, solo apparentemente di nicchia. Per Estival spesso prendiamo artisti già transitanti dall'Europa. Lui, invece, l’ho voluto e inseguito per tanti anni. È un’icona di New Orleans, uno di quelli che hanno saputo mescolare la tradizione con le moderne sonorità rock, funk e jazz, insegnando a tutti, dai jazzisti fino ai Rolling Stones. Lo conobbi molti anni prima di Estival dopo un concerto sotto la pioggia, la stessa sera di Bob Dylan. A Lugano con John Cleary e la sua band. Fu una serata piacevolissima, persona di grande allegria e socievole con tutti».

A introdurlo sul palco, nel 2012 in Piazza Riforma, Marti volle con sé Nicola Gilliet. «Fu proprio lì che lo vidi per l’ultima volta», racconta il patron di JazzAscona. «In occasione di una piccola tournée europea stava per arrivare anche da noi. Ma si sarebbe dovuto fermare per dieci giorni, lui e una band di nomi mostruosi. Sarebbe stata una spesa enorme e dovemmo rinunciare». Il Gilliet direttore artistico si duole di «un grande vuoto nella lista di nomi che ho portato»; l’ascoltatore, invece, si coccola «tutti i suoi dischi, uno più bello dell’altro», ricordando come, pur lontano da New Orleans per un lungo periodo in cui la sua arte andò ben oltre i city limits, «è sempre rimasto attaccato alla sua città e ai suoi musicisti. Lo si ritrova in tantissime registrazioni come special guest, nei dischi di Lilian Bouté, in quello di James Andrews e di molti altri». Le ultime parole di Gilliet a proposito di un uomo che «è andato a sostenere quello che è il feeling musicale di New Orleans, condizionandolo pesantemente» è per quanto accadrà nella città a lui tanto cara da qui a pochi giorni: «Soffro a pensare che tra due settimane c’è JazzAscona e nel mio cuore vorrei andare al suo funerale. Credo che tutti i musicisti saranno lì, a rendergli omaggio».