Svoltasi sabato scorso a Lugano la prima tavola rotonda in cui si è parlato di neuroatipicità
C’è chi nasce in un giorno qualunque e finisce per diventare Umberto Eco, o Marie Curie, oppure ancora Mozart, Anna Magnani, Nelson Mandela, Roger Federer, Albert Einstein. Sette personaggi per sette tipologie differenti d’intelligenza: linguistico/verbale, visivo/spaziale, musicale, intrapersonale, interpersonale, cinestesica (tipica degli sportivi) e logico/matematica.
Certo, dal semplice "avere un talento" a saperlo coltivare e passare alla Storia come le persone sopraccitate, ce ne passa. E, in questo intrecciarsi tra fortuna, fato, voglia e costanza nel coltivare le proprie particolarità c’è un elemento che spesso ci dimentichiamo: il "dono" deve essere compreso, in primis da noi stessi ma anche da chi ci sta attorno, e questo non è sempre facile in un mondo indifferente, se non pure intollerante a tutto ciò che non è conforme.
Il "dono" quindi, dall’essere un qualcosa di positivo, può tramutarsi in qualcosa di negativo, tanto da diventare un disagio.
Parliamo dei bambini ad alto potenziale cognitivo (e non "piccoli geni"), vittime di quegli stereotipi che li vedono come amanti dello studio, dalla conoscenza enciclopedica e dal profitto scolastico eccezionale. La realtà però non va sempre a braccetto con tali caratteristiche. I ragazzi e le ragazze spesso trovano difficile l’integrazione in classe, si distraggono facilmente, mancano di metodo e d’organizzazione, si stufano velocemente dei propri interessi e a volte si rivelano dei pessimi studenti.
Non ci si trova davanti a "bambini scarsi" o "annoiati", il fatto è che la loro mente viaggia a una velocità superiore – per dirla in modo semplice – e per essere saziata ha bisogno di ricevere stimoli adeguati.
«In oltre cinque anni di attività abbiamo avuto modo di raccogliere numerosissime testimonianze di difficoltà inaspettate, insuccessi scolastici all’apparenza inspiegabili e vissuti estremamente dolorosi. Per non parlare delle drammatiche testimonianze di fobia scolastica, ansia, depressione, malessere psicologico e fisico, abbandono scolastico e conseguente disagio sociale – ci racconta Elisabetta Monotti Campanella, presidente dell’associazione Filo di Seta, che si occupa di dare sostegno alle famiglie con figli plusdotati –. Con il tempo ci siamo resi conto, anche grazie alle nuove informazioni che man mano venivano evidenziate con l’aiuto di strumenti diagnostici perfezionati e all’aumento del numero di test effettuati, che parte dei ragazzi ad alto potenziale maggiormente in difficoltà presentava profili cognitivi disarmonici. Molti di questi ragazzi vivevano difficoltà scolastiche per certi versi simili a quelle dei ragazzi con disturbi specifici dell’apprendimento o con disturbi dell’attenzione. In alcuni casi tali disturbi erano effettivamente stati diagnosticati (e magari l’alto potenziale era emerso casualmente in fase di diagnosi) mentre in altri una tale eventualità era stata esclusa – a volte a ragione, a volte perché nascosta dall’alto potenziale – o non era stata considerata. In alcuni casi la diagnosi è arrivava solo in seconda o terza media».
Casi invisibili, o che sfuggono dai radar perché non conosciuti o giudicati in modo erroneo. A prova di ciò anche un sondaggio, realizzato nel 2021 dalla stessa associazione sui figli dei soci. Su un campione di circa 100 giovani, dai 5 fino ai 18 anni, è emerso che il 30% di quelli che tra loro erano certificati con alto potenziale cognitivo presentavano un Qi non interpretabile, che oltre il 10% di essi presentava anche una dislessia e il 3,7% un disturbo dello spettro autistico. Il 9% è stato valutato per un deficit dell’attenzione ma nella quasi totalità dei casi questo è stato escluso. Queste difficoltà potrebbero essere associate ai casi di abbandono scolastico, che oggi si attesta al 12%.
«Sì, c’è il sospetto che fra i ragazzi che oggi risultano esclusi dal sistema formativo ve ne siano molti con profili atipici. Per questa ragione abbiamo deciso di organizzare, con l’appoggio di altre associazioni ma anche con le autorità, questa giornata –. Conferma Monotti Campanella, che continua: Cercare di sensibilizzare su queste situazioni di fragilità nella speranza che sia possibile identificare risposte, di semplice attuazione, che possano facilmente adattarsi ai diversi modi di funzionamento individuali non solo dei nostri ragazzi ma di tutti i profili».
La tavola rotonda si è tenuta sabato 9 aprile, presso lo stabile dell’Università della Svizzera italiana a Lugano, e ha dato la voce a diversi relatori, tutti provenienti da ambiti scientifici distinti. Ricercatori, clinici, pedagogisti, pediatri, docenti, si sono intercalati nella descrizione accurata del loro modo di agire e soprattutto percepire le persone caratterizzate da una neuroatipicità. Ma la parola è stata data anche alle varie associazioni presenti come l’associazione Dsa Adhd Ticino (Adat), la conferenza cantonale dei genitori, Atgabbes, Pro Juventure, il Gruppo Asperger della Svizzera italiana e l’associazione S. Eugenio.
«Gli obiettivi della giornata sono stati raggiunti. Esperti e scuola hanno dialogato in modo aperto. Sono emersi alcuni aspetti su cui occorre lavorare in modo più efficace quali l’individuazione precoce, la completezza e l’accuratezza della diagnosi e il passaggio d’informazioni tra clinici e operatori scolastici. Siamo fiduciosi sul fatto che quanto emerso possa contribuire a migliorare in modo sostanziale l’accompagnamento dei profili cognitivi complessi in ambito scolastico ma anche in termini più generali», ha concluso Monotti Campanella.