Com’è la vita di un ticinese Oltralpe? Lo abbiamo chiesto al professor Angelo Ranaldo che si racconta fra studio, passioni e teorie finanziarie
In questa prima intervista di una miniserie dedicata a ticinesi che hanno fatto percorsi interessanti al di là delle Alpi, dialoghiamo con Angelo Ranaldo, classe 1970, cresciuto nel Bellinzonese, che dal 2012 è professore ordinario di Finanza e Rischio sistemico all’Università di San Gallo e professore associato all’Università di Zurigo. Formatosi come economista alla Bocconi, nel 2000 ha conseguito il dottorato in Economia e Scienze sociali all’Università di Friburgo. Prima di intraprendere la carriera di ricercatore e professore universitario, ha lavorato come consigliere economico e membro della direzione della Banca nazionale svizzera. È autore di numerosi articoli e libri.
Come ha scelto il suo percorso di studi?
Ho studiato Economia perché volevo capire meglio la nostra società e al contempo muovermi dentro una disciplina teorica rigorosa. La mia scelta è caduta sulla Bocconi perché è un’ottima università, impegnativa ma stimolante, in grado di fornire solide basi teoriche e quantitative. Di quel periodo ciò che più mi ha colpito era la capacità oratoria dei compagni italiani, di lunga superiore a quella degli svizzeri, abituati a dare più importanza alla sintesi. Durante uno stage in una banca di Lugano, ho capito che mi interessava seguire un percorso accademico. La possibilità d’intraprendere un dottorato a Friburgo è emersa un po’ per caso, tramite un amico che mi ha presentato il professore di finanza della cattedra francofona. Gli sono piaciute le mie idee di ricerca e mi ha offerto un posto d’assistente.
È sempre stato questo il suo sogno?
No… da ragazzo mi piaceva il calcio. Me la cavavo anche abbastanza bene: ero nelle giovanili del Bellinzona e nella nazionale svizzera Under16. Quando giocavo vivevo con intensità il momento e tutto attorno a me spariva. Ciononostante ho scelto una professione intellettuale: ho sempre avuto anche voglia di capire le cose.
Ci sono stati ostacoli contro i quali ha dovuto lottare? Ha l’impressione che la sua diversa lingua e cultura le abbiano impedito di raggiungere certi obiettivi?
Per me essere ticinese in terra straniera può rappresentare un ostacolo solo se si pensa che lo sia. Bisogna fare una forza delle proprie debolezze e affrontare l’ignoto con coraggio. Quando lavoravo in Banca nazionale ho notato che la forma mentis dei ticinesi veniva apprezzata, in particolare la flessibilità, il senso pratico e la creatività. Qualità che si sono rivelate utili soprattutto dopo la crisi economica del 2008, quando per la politica monetaria era necessario solcare vie non convenzionali. Ecco, noi ticinesi avevamo una marcia in più!
In quale momento della sua vita c’è stata una svolta?
Me ne vengono in mente due. La prima da ragazzo, quando un infortunio calcistico mi ha portato a riflettere e a decidere di continuare studiare. La seconda svolta l’ho vissuta durate l’anno trascorso presso la New York University grazie a una borsa di studio. All’epoca, tra il 1999 e il 2000, non esistevano soluzioni come airbnb e trovare alloggio era difficile. Ho vissuto da un amico, poi mi sono trasferito all’Ymca, dove non regnava una grande pulizia, tanto che mi sono addirittura preso la scabbia! Ci è mancato poco che non tornassi in Svizzera. Probabilmente senza l’anno di studio a New York, dove ho imparato tantissimo, non sarei riuscito a intraprendere la mia successiva carriera.
Lei è un esperto di finanza. Molte persone affermano che i giochi finanziari siano nocivi per l’economia reale, per le persone che lavorano e creano imprese. Cosa ne pensa?
Come già detto, se ho continuato a studiare era perché volevo andare a fondo delle cose, in particolare capire perché nel sistema finanziario si formano inefficienze e frizioni potenzialmente nocive per l’economia reale. Per comprenderlo bisogna guardare al capitale come a qualsiasi altro bene o servizio. Prendiamo gli alimentari, che per la vendita spesso necessitano di intermediari come la Migros o la Coop. Nel sistema finanziario questi intermediari sono rappresentati da banche, gestori di fondi e altri istituti finanziari, che svolgono un ruolo predominante. Se nel campo degli alimenti le persone si organizzano in associazioni a difesa dei consumatori facendo pressione sulla politica, in quello della finanza c’è meno interessamento e controllo. Si tratta di una materia ostica, che la gente fatica a capire. È questo il nocciolo del problema: bisogna informarsi di più e stabilire regole che tutelino anche i piccoli risparmiatori. Sarebbe utile iniziare dalla scuola, insegnando economia e finanza ai ragazzi. A tutto ciò si deve aggiungere l’avidità di alcuni attori coinvolti e una conoscenza scientifica a volte sommaria, che fa credere di avere a che fare con prodotti sicuri che poi si rivelano instabili, come è successo con la crisi finanziaria globale del 2008. In seguito in Svizzera, come in altri Paesi, vi sono stati interventi legislativi e il settore bancario è diventato più stabile. Ma ovviamente il mondo finanziario evolve portando con sé nuove opportunità e rischi.
Nel 2018, nel dibattito riguardante l’iniziativa sulla moneta intera, si diceva che le banche creano i soldi dal nulla. È vero?
Sì, in un certo senso è così. Bisogna immaginarsi un cono stretto in basso e largo in alto. Alla base si trova la moneta stampata dalla Banca nazionale. Salendo, il cono si allarga tramite gli investimenti e i prestiti fatti dagli istituti finanziari e dalle banche, che possono superare di molto il loro capitale proprio e le riserve obbligatorie. Quando la situazione è favorevole, gli investimenti crescono e il cono che rappresenta la liquidità si allarga come una fisarmonica. Il problema sorge in caso di crisi. La musica cambia di colpo e il cono si contrae. Gli istituti finanziari e le persone comuni si affrettano a riconvertire posizioni rischiose in contanti o titoli rifugio, che però non sono più facilmente accessibili.
Come fa un sistema simile a funzionare? Per quale motivo allarghiamo tanto gli investimenti?
Perché vogliamo usare più capitale di quello che abbiamo. Questo può essere un bene, per esempio quando qualcuno ha un’ottima idea imprenditoriale ma non il capitale per realizzarla. Diventa però un male quando la percezione dell’assenza di rischio e la voglia di realizzare guadagni facili dà vita a investimenti altamente speculativi. È come poggiare una serie di scale sempre più alte l’una sull’altra: se nulla le sostiene cadranno.
Cosa fanno meglio di noi gli svizzero-tedeschi? E cosa facciamo invece meglio noi?
In genere le persone qui sono molto efficienti e ligie alle regole. Nei casi migliori ciò le rende sicure, nei casi peggiori un po’ rigide. Trovo che le regole siano utili per i periodi di normalità, ma per crescere e migliorare bisogna dubitare e porsi domande. Quando sorgono imprevisti è inoltre importante essere flessibili e creativi, due qualità forse più consone a noi ticinesi. Una battuta e un sorriso rendono infine la vita più piacevole e questo è qualcosa che gli svizzeri tedeschi ammirano in noi.