Donés, leader di Jarabe de Palo, che come la Iena Toffa ha raccontato in pubblico, fino in fondo, l’urgenza (e la bellezza) del vivere
“Senti, me la fai ‘La flaca’?”. Nessuna cover band di metà anni Novanta poteva esimersi dall’avere in repertorio il singolo di un gruppo spagnolo consegnato al successo planetario ventuno anni fa da una cosa così elegantemente latin che era un attimo dire “è Santana”. Ma che Santana non era. O almeno non del tutto. ‘La flaca’ – presa alla lettera, lettere iberiche, ‘La magra’ – è il lento, sensuale, sudato, dichiarato, strappamutande resoconto di un colpo di fulmine caduto in una notte cubana del 1995; fu “por un beso de la flaca”, per il bacio di una “dea”, come la chiama l’autore della canzone nell’autobiografia ‘50 Palos… e continuo a sognare’, che quella donna “di una bellezza impressionante, con un abito in chiffon rosso semitrasparente e due occhi così lucenti che parlavano da soli”, segnerà le sorti delle cover band di quei giorni – che con ‘La flaca’ di solito ci aprivano e a volte ci chiudevano pure – e in primis degli Jarabe de Palo e del leader Pau Donés, che se n’è andato lo scorso 9 giugno per l'atto conclusivo del vieni-e-vai di un cancro al colon.
Scriviamo a una settimana e più dalla sua morte, lontani dal giornalistico coccodrillo imponibile (e comunque evaso) da una morte annunciata, a cinque anni da quel “Dicono che devo morire” dal cantante pubblicamente condiviso. Scriviamo, in un certo senso, ancora impreparati così come impreparati arrivammo, un anno fa, al “Vi bacio tutti” di Nadia Toffa, Iena bresciana della tv che come Donés aveva scelto di condividere la malattia pubblicamente, vuoi per terapia del dolore che tanti medici della mente caldeggiano, vuoi perché “dal primo momento in cui ho capito il dolore che la malattia provoca nella gente che ne soffre e in chi le sta intorno, ho cercato di donare la mia esperienza di malato”. Che sono parole di Pau Donés a laRegione del 6 luglio 2017, ma sono più o meno le stesse che scriverà Nadia Toffa più tardi, sui social e in due libri, uno postumo. Parole che avrebbero potuto accompagnare il suo ‘Vi bacio tutti’. Che è di questi giorni, un anno fa.
'La vida es hoy' (la vita è oggi) campeggia in copertina sulla pagina facebok degli Jarabe de Palo. Una soleggiata variante di 'Vivir es urgente' dei tempi di Castelgrande e di quell'intervista concessaci prima di un piovoso ma intimo Castle On Air, quando Donés ci aveva ricordato che “mentre arriva la morte, viviamo la vita. Che ne sai, la morte magari arriverà in un altro modo, in un altro momento…». Donés che fino all’8 giugno ha cantato ‘Eso que tú me das’ dall’omonimo album, uscito in piena pandemia anziché in settembre perché il tempo rimastogli era troppo poco; cantata col viso scavato che è stato anche del Bowie di ‘Lazarus’ e del Freddie Mercury di ‘These are the day of our lives’, ma con l'entusiasmo di un ulteriore, ultimo e definitivo inno alla vita permessogli dall'avere già affidato a ‘Humo’, singolo dal greatest hits '50 Palos' portato a Castelgrande – “E ora che il cielo mi chiama, sii forte, non ho paura” – il suo testamento anticipato. Una presa di coscienza, 'Humo', per lasciare il gran finale alla festa. Quella che è anche e soprattutto in ‘Eso que tú me das’ è, una festa alla quale partecipa, danzando, la figlia Sara e aperta a tutti, ogni volta che sul Tubo venga voglia di premere il tasto 'Play'.
L’incognita di quando se ne va uno famoso, per i titolisti, è sempre la stessa: come titoliamo stavolta? “Si è spento”? “È morto”? Oppure “Addio a”, che fa molto Hemingway? Peccato, per i grandi, non poter titolare sui giornali in anticipo “è nato”, cosa che si fa per i figli dei reali d’Inghilterra o più in generale per i figli di quelli famosi, senza sapere se un giorno saranno famosi perché grandi, o se saranno famosi solo perché sono famosi (“Eh, se me lo dicevi prima…”, cantava l’Enzino).
Parafrasando l’idea che per un bacio “de la flaca”, anche uno soltanto, uno farebbe qualsiasi cosa (“Por un beso de ella, aunque sólo uno fuera”), lo scorso 25 di aprile, nel mezzo di una pandemia trascorsa a donare mascherine, Donés postava un ultimo, tirato suo primo piano: “Ho la faccia di chi per un concerto, anche uno soltanto, farebbe qualsiasi cosa”. Il concerto, l’urgenza di un musicista; in un vivere che resta urgente, ancor più oggi. Ecco: una volta deciso come annunciare la dipartita di qualcuno c’è anche da pensare a come salutarlo. Oggi va di moda ‘Che la terra ti sia lieve’, locuzione latina che per una volta è da leggersi al contrario: sono il rocker, e anche la Iena, ad averci reso lieve la morte.