Società

Twitta et impera

Anche un innocuo arancino di riso, nelle mani di Salvini, può dividere la società

29 dicembre 2018
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Non sono un seguace di Matteo Salvini. Sia politicamente – ma la cosa, qui, è ininfluente – sia socialmediaticamente. Insomma, non seguo su Twitter l’attuale ministro dell’Interno italiano e leader della Lega Nord. Il che significa che i suoi tweet, di per sé, non compaiono quando il mio dito tocca l’iconcina azzurroalata sullo smartphone. Eppure so che l’altro giorno si è mangiato pane e Nutella e, il giorno dopo, un arancino di riso. Informazioni la cui rilevanza politica e sociale dovrebbe essere nulla: semplice chiacchiericcio che – sia chiaro – ha la sua ragion d’essere. Anche per il vicepresidente del Consiglio dei ministri che certo è persona di Stato, ma è anche una persona e come tale ha diritto a un po’ di sano cazzeggio, cosa che, di per sé, non inficia la dignità della carica che ricopre – almeno, non più delle sue idee politiche.

Ma torniamo alle scelte alimentari di Salvini: pur non essendo seguace e pur essendo informazioni a dir poco marginali, ne sono venuto a conoscenza. Perché? Non solo perché molti hanno condiviso, indignati, quegli (esteticamente) orribili selfie, ma anche perché la notizia – anzi, la “notizia”, tra virgolette – è stata ripresa dalle principali testate giornalistiche. C’è persino chi ha proposto campagne di boicottaggio dei prodotti consumati da Salvini.

Il controllo delle notizie

Ora, se la conseguenza fosse solo l’aver inflitto a me e agli altri non seguaci di Salvini il suo faccione sorridente mentre addenta prodotti alimentari più o meno raffinati, poco male. Il fatto è che così facendo si è impostato il dibattito non intorno ai pericoli dell’attività vulcanica in Sicilia o al pentito ucciso a Pesaro nonostante fosse sotto protezione, ma intorno al tempo libero di Matteo Salvini – che è un ministro: ha la responsabilità politica di quel che viene e non viene fatto, ma certo non è suo compito indagare sugli omicidi o evacuare le case danneggiate.

Se Salvini è al centro del discorso politico e sociale non lo si deve solo a chi condivide le sue idee e le sue scelte, ma anche a chi ne condivide i post – per criticarli, per insultarlo, per prenderlo in giro, per indignarsi. E, peggio ancora, ai mass media che inseguendo le fette di pane e gli arancini di Salvini cedono al leader della Lega Nord il controllo delle notizie.

Il linguista statunitense George Lakoff – riferendosi evidentemente a Donald Trump, non a Salvini, ma la sostanza non cambia – ha identificato quattro tipi di tweet, quattro modalità di controllare il dibattito che è bene conoscere in un momento dove, grazie ai social media, il dibattito pubblico è davvero nelle mani di tutti. Al primo posto abbiamo, ovviamente, la distrazione: se c’è qualche tema spinoso all’orizzonte, una bella polemica pretestuosa e quel tema passa in secondo piano. Se poi quel tema spinoso passa lo stesso, abbiamo il diversivo: è un attacco, una macchinazione, una fake news inventata da invidiosi e avversari politici; concentratevi su di loro, non su quel che dicono. C’è poi il test: la si spara grossa per vedere come reagisce l’opinione pubblica, quanto si è assuefatta a idee un tempo aberranti tipo lasciar annegare delle persone in mezzo al mare. Ma il più insidioso è il “preemptive framing”, perché – è uno dei cavalli di battaglia della linguistica cognitiva di Lakoff – i fatti non valgono nulla senza una cornice concettuale che dà loro un senso. E controllare quella cornice vuol dire controllare i fatti: vedi le migrazioni concepite come invasioni, la chiusura dei porti come misura di sicurezza nazionale eccetera.

“Ma non si può ignorare Salvini: è un ministro!” ribattono alcuni. Vero, per quanto i suoi tweet alimentari, in realtà, li potremmo tranquillamente ignorare; quanto agli altri, c’è modo e modo di riprenderli. Sempre Lakoff ha più volte messo in guardia i media dal riprendere le bugie dei politici nella convinzione che le persone le riconoscano come tali: funziona solo con quelli che già sanno che quella è una bugia, non con gli altri.

Se proprio la dichiarazione non la si può ignorare, non va semplicemente ripresa ma inserita in quello che Lakoff chiama “truth sandwiche”, il panino della verità. Perché la prima cosa che si legge è quella che rimane in mente, per cui occorre sempre partire dalla verità, poi raccontare la bugia per concludere, di nuovo, con la verità.

Tutti per uno, tutti contro tutti

Fin qui, tecniche classiche, meccanismi della comunicazione – o retorica, come la si chiamava un tempo – che certo non sono nati con i social media.

Quella che forse è cambiata è la modalità di comunicazione, perché sui social media non c’è controllo sul pubblico: un politico che tiene un discorso pubblico sa con chi sta parlando e nella grande metropoli non dirà le stesse cose che direbbe in una cittadina di provincia (o a un incontro con gli industriali), e anche le trasmissioni radio e tv hanno un determinato pubblico, sui social media si parla al mondo.

Il fenomeno, sia chiaro, riguarda tutti noi che infliggiamo ai colleghi le nostre foto di famiglia e ai parenti notizie di attualità, cosa che mai faremmo di persona perché, di persona, ci renderemmo subito conto che non interessano per niente. Se per i rapporti sociali ciò è una rottura di scatole, per la comunicazione politica potrebbe essere un disastro, perché un messaggio politico che vada bene a tutti – a tutte le classi sociali ed economiche, a simpatizzanti, critici e indifferenti – è praticamente impossibile. E qui sta la bravura di Salvini, Trump e di altri comunicatori dell’agorà virtuale: non cercare l’impossibile consenso ma al contrario coltivare il dissenso. Insultando e ridicolizzando chi non la pensa come te o ha semplicemente dei dubbi – tattica usata, con successo, da alcuni giornalisti e divulgatori – oppure con messaggi studiati per compiacere i fan e indignare tutti gli altri (vedi il pane e Nutella di Salvini).

Tecnica indubbiamente efficace: sfruttandola con abilità, si riesce a monopolizzare il dibattito pubblico. Con un piccolo effetto collaterale: polarizzare il pubblico, estremizzare le discussioni trasformando ognuna in uno scontro tra due fazioni che niente hanno in comune. Insomma, il venire meno di un vero dibattito pubblico.

Per questo è importante maneggiare con cautela i tweet di Donald Trump, Matteo Salvini e dei tanti epigoni anche nostrani e, se il caso, ignorarli.