Società

L’impero del falso

Chi produce e chi diffonde le ‘fake news’? Se ne è discusso al Festival del giornalismo di Perugia

Keystone
13 aprile 2018
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La notizia di Frida Sofia, la bimba trovata viva sotto le macerie di una scuola di Città del Messico, ripresa dai media di tutto il mondo e dopo due giorni rivelatasi falsa. L’elenco degli oggetti trovati a terra dopo il concerto di Vasco dell’anno scorso a Modena – dai vibratori, ai rolex, fino agli assorbenti – che ha scatenato gli opinionisti di mezza Italia, ma poi risultato del tutto inventato. Sono alcune delle fake news delle quali si è discusso nel dibattito ‘Fake news: non bertele tutte!’ al Festival del giornalismo di Perugia, dal quale è emerso che i propagatori di notizie false non sono i giovani, come spesso si crede, ma soprattutto gli over 40.

A fabbricarle, non sprovveduti internauti ma aziende specializzate a caccia di profitti. Tra i partecipanti una delle star del web italiano, Salvatore Aranzulla, che con il suo sito aranzulla.it, lanciato quando aveva solo 12 anni dalla sua stanzetta in Sicilia, è diventato una sorta di guru della tecnologia, superando per traffico in Italia – come è stato ricordato nel dibattito – anche YouPorn.

«La credibilità è un concetto difficile da raggiungere su internet – ha raccontato –. Io l’ho raggiunta in 15 anni di attività, innanzitutto mettendoci la faccia, cioè firmando ogni articolo che pubblico. Tutte le info sono verificate, tutte le procedure sono testate, i cellulari che consigliamo vengono provati. Un altro punto è che tutto il contenuto editoriale è indipendente e questo ci viene riconosciuto dagli utenti». Aranzulla ha raccontato di aver pubblicato lo scorso anno sui suoi profili social una traccia falsa della maturità prima che l’esame avesse luogo, riprendendo in realtà quelle dell’anno precedente. «In poche ore quella notizia ha raggiunto 5 milioni di persone – ha spiegato –. Tra queste solo venti si sono accorte che era falsa, pure essendoci gli elementi per scoprirlo. È davvero facile confezionare una fake news, ma in genere è anche facile scoprirla».

Fake news con i capelli bianchi

Un dibattito è stato organizzato da Coca Cola, multinazionale più volte presa di mira sui social e dalle catene su Whatsapp. Dalla notizia della Coca Cola alcolica, ai roditori nelle bottigliette, fino alla Coca Cola contaminata con il virus dell’Hiv sono diversi i casi di fake news citati da Cristina Broch, Communication Director di Coca-Cola Italia. «Più la notizia è disgustosa, più fa scena – ha spiegato –. Usare Coca Cola nel titolo è uno strumento di ‘clickbaiting’. Per questo abbiamo un team per monitorare costantemente le news e verificarne la correttezza. Interveniamo per rettificare solo nei casi strettamente necessari, perché è possibile che rispondendo non si faccia altro che mettere benzina sul fuoco. Una multinazionale, poi, non ha la possibilità di essere percepita come credibile allo stesso modo di Aranzulla».

Anche Alessio Giannone, il Pinuccio di Striscia La Notizia, ha condotto alcuni approfondimenti sul tema, basandosi su ricerche dell’Università di Napoli: «Da questi studi emerge che Facebook è il primo propagatore di notizie false e che fino a un anno fa la sua attendibilità era bassa, ma ora è paradossalmente aumentata perché molte notizie che circolano sui social vengono riprese dai media tradizionali. Spesso si colpevolizzano i giovani, ma sono gli over 40 i primi propagatori di fake news. Il problema è che si legge poco anche sul web: spesso ci si ferma al titolo della notizia».

A moderare il dibattito Matteo Grandi, che nel 2017 ha pubblicato per Rizzoli ‘Far Web – Odio, bufale e bullismo, il lato oscuro dei social’, un saggio sulle derive della rete. «La più grande fake news che gira è che le fake news arrivino solo dalla rete – ha sostenuto –. È vero che la rete amplifica le notizie, ma se dividiamo il mondo in media buoni e cattivi siamo fuori strada. Molto spesso la disinformazione transita dai media tradizionali». In altre parole, «ci siamo convinti che chi mette bufale in rete lo faccia con un movente ideologico, per farci cambiare idea su qualcosa. In realtà l’ideologia non è quasi mai il fine ma il mezzo che usano gli autori, mossi il più delle volte da un movente economico».