Premiati tre ricercatori e tre ricercatrici, di cui due svizzere. Sono i giovani destinatari delle borse di studio Ibsa Foundation
Erano in tutto 211 i progetti presentati al bando 2022, provenienti da 29 paesi. Un record di candidature per la Fellowship di Ibsa Foundation, programma che mette in palio 6 borse di studio del valore di 30mila franchi ognuna. Due di esse sono andate a Laura Yerly (dermatologia, da Losanna) e Camilla Basso (endocrinologia, dal Ticino), entrambi ricercatrici svizzere. La cerimonia si è svolta oggi a Lugano, presso lo stabilimento cosmos di Ibsa. Le candidature sono state raccolte in cinque aree scientifiche – dermatologia, endocrinologia, fertilità/urologia, medicina del dolore/ortopedia/reumatologia – più l’edizione speciale dedicata all’Healthy Aging/Medicina Rigenerativa.
A consegnare le borse di studio sono stati Arturo Licenziati, Presidente e Ceo del Gruppo Ibsa, Silvia Misiti, Direttore di Ibsa Foundation per la ricerca scientifica e Luisa Lambertini, Rettrice nominata dell’Università della Svizzera italiana. “Sostenere le ricerche e i progetti d’avanguardia per far progredire la società e per aprire nuove prospettive sulla ricerca scientifica: è questo l’obiettivo cui puntiamo rinnovando ogni anno il bando delle Fellowship”, spiega Misiti. “Portiamo avanti questo impegno da dieci anni e continueremo a farlo perché crediamo nel talento dei giovani ricercatori di oggi, affinché diventino gli scienziati del nostro domani”.
Inserite nel domani sono anche le Fellowship relative al 2023, il cui bando è ufficialmente aperto: 6 nuove borse di studio, il cui valore è stato incrementato a 32mila franchi svizzeri ciascuna.
Di seguito, i nomi dei vincitori, partendo dai non svizzeri: Francesco De Logu (Università degli Studi di Firenze); Marco Fantuz (Università degli Studi di Padova); Julio Aguado (The University of Queensland, Australia); Valentina Lorenzi (University of Cambridge, Regno Unito).
L’abilità di reagire ai fallimenti
Le due premiate svizzere sono Laura Yerly (Centro ospedaliero universitario del Vaud) e Camilla Basso (Ente Ospedaliero Cantonale e Università della Svizzera italiana). Basso si occupa di microbioma e obesità e del legame fra le due condizioni. Il titolo del suo progetto è ‘Fat-infiltrating microbiota: a new player in obesity?’, la sua ipotesi è che i pazienti obesi subiscano un’invasione nei tessuti adiposi da parte di un microbiota specifico. La sua ricerca fornirà le risposte.
Camilla Basso, complimenti. Qual è la specificità della sua ricerca che ha portato alla Fellowship?
L’alta permeabilità della barriera intestinale dei pazienti obesi consente a batteri solitamente localizzati all’interno del lume intestinale di ‘traslocare’ e penetrare nei tessuti circostanti. Dati preliminari ci dicono che nel paziente obeso il microbiota intestinale può arrivare fin nel tessuto viscerale adiposo. Un’altra caratteristica del tessuto adiposo del paziente obeso è l’infiammazione cronica, associata a un fallimento della terapia. Vogliamo dunque investigare come questi batteri possano modulare la risposta immunitaria nel tessuto adiposo. Tra gli obiettivi c’è la creazione di una mappatura immunologica e, in parallelo, microbiologica del tessuto adiposo viscerale, il tutto per trovare un’associazione tra la presenza di determinati batteri e le caratteristiche d’infiammazione. Fine ultimo è la creazione di una terapia innovativa e alternativa che possa coadiuvare quella standard, che si tratti di chirurgia bariatrica o di terapia farmacologica, basata sull’utilizzo di antibiotici destinati a eliminare quei batteri associati all’infiammazione cronica, oppure di probiotici che moltiplichino quelli che portano a una regolazione positiva dell’infiammazione.
Come è stato condotto lo studio, quanto tempo si è preso e quanto se ne prenderebbe in futuro?
La mancanza di fondi ci ha consentito per il momento solo alcuni esperimenti preliminari. Lo studio nasce da un’équipe che tratta l’obesità all’Ospedale di Lugano, un gruppo veramente all’avanguardia con al suo interno chirurghi bariatrici di grande valore. La connessione del laboratorio con l’ospedale è di grande aiuto per condurre questa ricerca sui campioni di grasso dei pazienti obesi che vanno incontro a un intervento di chirurgia bariatrica. Una volta rilevata la presenza dei batteri nei pazienti obesi, abbiamo realizzato una prima mappatura di quali cellule del sistema immunitario sono presenti nel tessuto adiposo, quali caratteristiche hanno, se siano infiammatorie oppure regolatorie. Per arrivare alla creazione di una mappatura immunologica e microbiologica del tessuto adiposo servirebbe almeno un anno di reclutamento dei pazienti e di analisi dei tessuti; dopo questo primo anno di ricerca, nel quale vengono poste le basi sulle quali lavorare, si potrebbe proseguire per altri due anni almeno, andando a sperimentare in vitro l’effetto dei batteri, o a creare modelli in vivo di chirurgia bariatrica su topi obesi, sui quali testare effettivamente l’efficacia della terapia probiotica o antibiotica.
In vista di quello che potrebbe essere uno studio completo, quanto aiuta un supporto come la Fellowship di Ibsa, anche in termini di prestigio?
È un grande segno verso la comunità accademica. Ibsa supporta i ricercatori che sono all’inizio della loro carriera e hanno bisogno che a progetti senza fondi come il mio, per esempio, venga riconosciuto innanzitutto un valore. Una borsa di studio come questa pone le basi sulla possibilità che la ricerca possa partire, è un sostentamento iniziale che, una volta ottenute le evidenze scientifiche necessarie a confermare il valore del progetto, può aprire a ulteriori fondi. Dal punto di vista del prestigio, il premio regala visibilità all’interno del mondo accademico, è un primo riconoscimento del valore del ricercatore.
Cosa significa essere ricercatori oggi?
Noi ricercatori sviluppiamo negli anni l’abilità di reagire ai fallimenti. La ricerca porta spesso e necessariamente a un fallimento, nei confronti del quale bisogna essere capaci di rialzarsi e prendere, eventualmente, binari diversi da quelli sui quali si era partiti. Non è facile, ma l’abilità che si acquisisce con gli anni influenza la vita di tutti i giorni. Da madre di tre figli, con l’attitudine fatta mia negli anni, riesco a combinare tanto uno sforzo senza tregua nel campo della scienza, che ti prende giorno e notte, mattina e sera, con le responsabilità familiari, e la necessità di organizzare il tutto. I fallimenti sono più dei successi, ma ci si abitua, ci si fa la pelle dura, che aiuta a reagire di fronte alle difficoltà. Molto lo fa passione: quando si è entusiasti delle cose, tutto diventa assai più facile e piacevole.